Uno studio dell’Università di Tel Aviv dimostra che il progressivo riscaldamento dei gas presenti nei primi anni di vita dell’Universo è avvenuto più tardi di quanto si pensasse. I risultati pubblicati su Nature.
di Giulia BonelliCrediti: NASA/JPL-Caltech
Gli archeologi di solito studiano, analizzano e interpretano ciò che rimane del passato. Ma se i reperti si trovano nello spazio, il discorso cambia: gli astronomi possono non solo immaginare, ma anche “vedere” il passato del nostro Universo. Infatti la luce degli oggetti lontani (e parliamo di distanze davvero notevoli) impiegano molto tempo a raggiungere la Terra. Anni luce. E così la loro osservazione ci riporta direttamente a come dovevano apparire quegli oggetti celesti nel momento in cui la loro luce è stata emessa.
L’archeologia galattica ci ha permesso di scoprire tantissime cose sull’origine dell’Universo. Prima tra tutte la sua età, oggi stimata attorno ai 13,8 miliardi di anni. Eppure il momento in cui si formarono le prime stelle (da cui ha avuto origine tutto il resto) non è ancora chiaro: uno dei più grandi dilemmi riguarda quella che è considerata la stella più vecchia mai osservata, e che secondo i calcoli dovrebbe avere un’età persino superiore a quella dell’Universo stesso.
Ma uno studio di un gruppo di ricerca dell’Università di Tel Aviv potrebbe oggi gettare una nuova luce sulla questione. E proprio di luce, letteralmente, si parla: l’articolo pubblicato ieri su Nature è il risultato dell’osservazione della luce emessa dalle prime stelle dell’Universo. Che a loro volta formarono i primi buchi neri, da cui ebbe origine il progressivo riscaldamento dei gas presenti nello spazio. Secondo gli autori dello studio, questo riscaldamento è avvenuto molto dopo rispetto a quel che si pensasse; in altre parole, l’universo primordiale si è “acceso” più tardi del previsto.
“Prima si pensava che il fenomeno di riscaldamento fosse avvenuto molto presto” spiega Rennan Barkana del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Tel Aviv, seconda firma dell’articolo. “Ma abbiamo scoperto che non è così, grazie alle recenti osservazioni dei buchi neri binari”.
I buchi neri binari sono sistemi formati da due stelle in cui quella più grande esplode in supernova, lasciando al suo posto un buco nero. A quel punto il gas della stella compagna viene risucchiato dall’enorme forza di gravità del buco nero, ed emette così radiazioni.
Gli astronomi hanno potuto rilevare esattamente quelle radiazioni, scoprendo che erano all’origine del successivo riscaldamento del gas cosmico rimanente attorno al sistema binario stella-buco nero.
Questo ha permesso di datare le radiazioni e il successivo riscaldamento, giungendo alla conclusione che il tutto è avvenuto quando l’Universo aveva circa 400 milioni di anni.
La scoperta potrebbe cambiare notevolmente l’impiego di uno dei principali strumenti dell’archeologia astronomica: il radiotelescopio. Che prima veniva utilizzato in base all’assunzione secondo cui il riscaldamento cosmico era avvenuto troppo presto nella storia dell’Universo per poter essere osservato. Questa nuova teoria fa invece rientrare anche le onde radio emesse dai gas primordiali tra gli oggetti “visibili”: a dimostrare che le prime stelle hanno lasciato una firma più indelebile di quanto avremmo immaginato.
Fonte: Media INAF | Scritto da Giulia Bonelli