Quando cado. Mandorle e nocciole

Da Pamirilla

Succede con una certa regolarità senza altri motivi se non quelli apparenti, meccanici e casuali.
Una buca non vista, una distrazione, un cedimento, uno sbilanciamento, un’imprudenza. Quando storco malamente e per l’ennesima volta una delle mie caviglie, già duramente provate da anni e anni di cadute tanto accidentali quanto regolari, mi tocca abbandonare la vita come la conosco e entrare in una sospensione fatta di ore e ore chiusa in casa, ore che non conoscevo prima. E puoi muoversi poco, leggere tanto, dormire tanto, pensare troppo. O anche no.
Bere molto tè e parlare tanto, forse troppo. O forse no.

Quando cado è come quando cadono le tende poggiate sugli sbagli nascosti malamente e con ingenuità. O come quando cadono le bugie raccontate male o quando cade l’illusione che tutto può ancora andare bene senza la fatica che ci vuole perché vada bene sul serio. L’illusione che potrebbe essere facile, la paura che sia più difficile di quanto è realmente.

Quando cado ci vuole un certo tempo perché riesca a rialzarmi e riprendere a camminare.
In quel tempo finalmente capisco dove devo andare.
E poi ci vado.

Quando sono caduta ho sentito un crack e ho avuto paura.
“Stavolta l’ho rotta” ho pensato.
Poi una mano ha preso la mia e mi ha accompagnato a casa e quella mano io la chiamo Amore.
Il suo Nome è scritto negli occhi.
Nei suoi.   Nei miei.
Forse un giorno me lo dirà, quel nome che so già ma che non mi ha mai detto.

Ma ora sono in una falla del tempo qui da sola, bevo molto tè e leggo molti libri, mi muovo poco, scrivo ricette, penso troppo e a volte niente, ogni tanto viene qualcuno e beviamo molto tè, parliamo troppo, ci muoviamo poco e sorvoliamo mille mondo insieme.
Poi resto sola di nuovo.

Sono caduta. Ogni tanto cado.
E’ bisogno di chiarimenti, tempo di domande e di risposte da cercare. Ecco perché cado.

E resto giù, finché non passa il gonfiore e non passa il dolore, passano i giorni e infine vedo dov’è che devo andare.
E allora mi alzo.
E ci vado.

Nella notte ho fatto questi biscotti perché mi ronzava nella testa un’idea. Li ho fatti su un piede solo e infatti l’impasto non era del tutto perfetto.

Ma il sapore è delizioso e in fondo non sono niente male. Per essere dei frollini nati di notte su un piede solo, dico. Non lasciate che il burro si ammorbidisca eccessivamente, come è successo a me, e non avrete problemi.

Frollini alle mandorle e nocciole

Ingredienti

300gdi farina
120g di burro
200g di zucchero di canna
100g di nocciole
100g di mandorle
1 uovo
Un pizzico di cannella
Un tappo di rum

Lavorate il burro ammorbidito con lo zucchero di canna e con l’uovo. Ottenuto un pastello omogeneo aggiungete la farina e la cannella infine il rum (che potete sostituire con una grappa barricata o con un liquore aromatico come il Grand Marnier). Amalgamate poi la frutta secca.

L’ideale sarebbe eseguire tutta la lavorazione con una planetaria ma se non l’avete usate una marise o una spatola, per lavorare l’impasto, e non maneggiatelo con le mani (anche perché è abbastanza morbido e non sarebbe semplice).

Mettere l’impasto in uno stampo lungo e stretto o avvolgetelo nella pellicola a formare un grosso cordone e fatelo raffreddare in frigorifero per qualche ora. Quando è ben rassodato affettatelo ad uno spessore di un centimetro scarso ed infornate a 180° per circa 15 minuti.

Consiglio di non utilizzare frutta tostata perché in cottura nocciole e mandorle, nel poco spessore del biscotto, tosteranno di nuovo e rischiereste di trovarvele troppo brunite e amare.


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