Bla bla bla. Si parla tanto per hablar. Giorni decisivi per l'Unità e non solo. Ragioni economiche, è vero, però una redazione che si scioglie sarà sempre una sconfitta e non c'è nulla da ridere, nessun motivo per far festa. Faremmo lo stesso discorso anche se chiudesse Libero o se Silvio decidesse di non finanziare più il Giornale. Anche Giuliano Ferrarache dovesse smettere di scrivere e il Foglio di uscire ci causerebbe un dispiacere. Ma forse siamo pochi a pensarla così. I giornali chiudono, meglio, vengono chiusi dai regimi totalitari, quando è indispensabile l'affermazione del pensiero unico. In democrazia è una sconfitta per tutti. Non sempre apprezziamo le cosiddette linee editoriali, non sempre (quasi mai) ci troviamo d'accordo su quanto scrivono alcuni organi di informazione, ma da qui a gioire perché una testata chiude il passo è lunghissimo. Poi, si potrebbe discutere su quanto possano giovare all'educazione politica degli italiani alcuni giornalisti e le loro idee tanto al chilo, ma anche questo è il gioco delle regole della libera informazione. L'informazione è il pane della democrazia, e la pluralità delle idee e delle posizioni il lievito e il sale di un popolo che non si accontenta. Qualche tempo fa, seguimmo Michele Santoro pure a Bologna perché le epurazioni non ci sono mai piaciute e la parola “censura” ci incute una fifa blu. La nascita del Fatto è stato un momento indimenticabile, come indimenticabile (per ragioni esattamente opposte), l'avvicendamento di Scalfari alla direzione di Repubblica. Da quel giorno, dalla presa del potere totale dell'editoriale Repubblica-L'Espresso da parte di Carlo De Benedetti, non abbiamo più acquistato un giornale che ci ha tenuto compagnia e informato per anni. La tessera numero 1 del PD non ci è mai piaciuta ieri né ci potrebbe piacere domani; a distanza di anni, che sembrano secoli, continuiamo a tifare per monsignor Bettazzi. Ma questa è tutta un'altra storia. Così ci amareggiano le parole di Beppe Grillo, ancora una delusione, sul rischio che l'Unità chiuda e gli attacchi ad personam alla Oppo e a Jop. Spiegateci voi la differenza fra il Grillo dei giornalisti da sottoporre al pubblico ludibrio e il Berlusconi di Biagi, Luttazzi, Santoro e Travaglio. Questione di delirio di onnipotenza o voglia matta di lapidare chi non la pensa come noi? Quando chiude un giornale non è un giorno di festa, qualcuno glielo spiega al Beppe che vuole incontrare “la Peste” per tentare di governare fra 104 anni?
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Quando chiude un giornale non è una festa ma un lutto. Cercasi disperatamente qualcuno disposto a spiegarlo a Beppe
Creato il 19 giugno 2014 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Bla bla bla. Si parla tanto per hablar. Giorni decisivi per l'Unità e non solo. Ragioni economiche, è vero, però una redazione che si scioglie sarà sempre una sconfitta e non c'è nulla da ridere, nessun motivo per far festa. Faremmo lo stesso discorso anche se chiudesse Libero o se Silvio decidesse di non finanziare più il Giornale. Anche Giuliano Ferrarache dovesse smettere di scrivere e il Foglio di uscire ci causerebbe un dispiacere. Ma forse siamo pochi a pensarla così. I giornali chiudono, meglio, vengono chiusi dai regimi totalitari, quando è indispensabile l'affermazione del pensiero unico. In democrazia è una sconfitta per tutti. Non sempre apprezziamo le cosiddette linee editoriali, non sempre (quasi mai) ci troviamo d'accordo su quanto scrivono alcuni organi di informazione, ma da qui a gioire perché una testata chiude il passo è lunghissimo. Poi, si potrebbe discutere su quanto possano giovare all'educazione politica degli italiani alcuni giornalisti e le loro idee tanto al chilo, ma anche questo è il gioco delle regole della libera informazione. L'informazione è il pane della democrazia, e la pluralità delle idee e delle posizioni il lievito e il sale di un popolo che non si accontenta. Qualche tempo fa, seguimmo Michele Santoro pure a Bologna perché le epurazioni non ci sono mai piaciute e la parola “censura” ci incute una fifa blu. La nascita del Fatto è stato un momento indimenticabile, come indimenticabile (per ragioni esattamente opposte), l'avvicendamento di Scalfari alla direzione di Repubblica. Da quel giorno, dalla presa del potere totale dell'editoriale Repubblica-L'Espresso da parte di Carlo De Benedetti, non abbiamo più acquistato un giornale che ci ha tenuto compagnia e informato per anni. La tessera numero 1 del PD non ci è mai piaciuta ieri né ci potrebbe piacere domani; a distanza di anni, che sembrano secoli, continuiamo a tifare per monsignor Bettazzi. Ma questa è tutta un'altra storia. Così ci amareggiano le parole di Beppe Grillo, ancora una delusione, sul rischio che l'Unità chiuda e gli attacchi ad personam alla Oppo e a Jop. Spiegateci voi la differenza fra il Grillo dei giornalisti da sottoporre al pubblico ludibrio e il Berlusconi di Biagi, Luttazzi, Santoro e Travaglio. Questione di delirio di onnipotenza o voglia matta di lapidare chi non la pensa come noi? Quando chiude un giornale non è un giorno di festa, qualcuno glielo spiega al Beppe che vuole incontrare “la Peste” per tentare di governare fra 104 anni?
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