Quando dormo sogno senza punteggiatura

Ok. l'avevo detto e l'ho fatto: ci sono andata. A Montanaro, intendo. No perché qualche giorno fa ho scoperto che Zerocalcare ha realizzato un murale proprio in questo paese a pochi passi da me e visto che mi piacciono i fumetti, visto che lo seguo, visto che si parla anche di partigiani, per dire, volevo vederlo.

Ma volevo vederlo anche perché il suddetto murale è saltato qualche giorno fa alla ribalta a causa della stella rappresentante la Brigata Garibaldi: pare che abbia dato un po' fastidio perché troppo grande, troppo vistosa.

Una stella rossa. Forse troppo comunista. Una stella rossa che - giunta permettendo - entro agosto verrà "cancellata". Quella che si vede lassù, nella foto.

Ora io sono una comunista alla , e non è tanto per questo che mi sono interessata alla cosa, quanto perché è un bel lavoro artistico che rende memoria - ripeto: memoria, una parola che non dovrebbe festeggiarsi solo il 27 gennaio - ad una vicenda storica di tutto rispetto: quella del partigiano Giuseppe Prono, membro (ahimè) di una Brigata che aveva una stella rossa come simbolo, la , fucilato per la nostra libertà.

Epperò mi serviva un fotografo, per documentare: e chi meglio di un ragazzino di 12 anni poteva accompagnarmi? Mio figlio: che qualcosa devi pure raccontare a 'sti ragazzi vissuti nell'era della Play e del benessere.

Così partiamo, con la mia micromachine, una Fiat 600, all'avventura perché io non calcolo mai i percorsi in modo maniacale, e ci spariamo i nostri venti chilometri in territorio alieno mentre gli racconto dei ragazzi, poco più grandi di lui (ma ragazzi veri, eh?! Mica soggetti di fotografie sbiadite...), sì, ragazzi poco più grandi di lui che avevano scelto di nascondersi nei boschi, darsi nomi di battaglia e combattere per la libertà contro un nemico che voleva soffocare tutte le libertà compresa quella di pensiero. Come nei videogiochi.

E gli racconto che c'erano pure delle ragazze! Che se non imbracciavano il fucile (ma c'erano pure quelle) nascondevano i partigiani, portavano loro cibo nei boschi o messaggi...

Gli racconto che Giuseppe era uno di loro, che se qualcuno è sopravvissuto, altri come lui sono morti, alcuni giustiziati proprio, come Giuseppe. E gli racconto di come ora che è passato tanto tempo quella stella rossa sembri oggi troppo grossa, troppo invadente, troppo sfacciata, tanto da meritare di esser cancellata.

E quando rimaniamo fermi al passaggio livello di Montanaro, sotto un caldo infernale, che pareva un'eternità e mi sembrava d'essere a "non ci resta che piangere" e che non ne saremmo mai usciti, siam finiti a fare il gioco dei sette nani, che più li nomini tutti più ti manca sempre il settimo, che alla fine abbiamo deciso che si sarebbe chiamato Alfred.

E poi arriviamo, finalmente. districandoci tra i cunicoli sconosciuti di un tranquillo paese, fino a vederlo, il murale così tanto incriminato, in un angolo soffocato da un parcheggio: una cosa che a non parlarne non se ne sarebbe accorto quasi nessuno.

E ci fotografiamo come degli sciocchi, salutando con sorrisi la gente che passa e che ci sorride a vicenda (tranne uno: troppo pulito, troppo pettinato, che cammina con le chiappe troppo strette... e ci guarda di traverso, "comunisti!" avrà pensato!).

Ed un crema caffè al bar che "i gelati non ci sono ancora arrivati", ed un "ciao! Grazie!" detto insieme che ci scappa pure un flic e floc ed un desiderio ciascuno in regalo, ed il ritorno nella calura del tramonto cantando "Don't stop me now" dei Queen, e gli Ac/Dc ed i Pearl Jam e tutto quello che Virgin Radio riesce a trasmettere a quell'ora (madre snaturata).

E... "Oh! Fili! Comunque vada a finire, io te la stampo la foto dove ci sei tu davanti al murale, ma la prima cosa che ci fai appena ricomincia la scuola è portargliela alla prof. di storia, che certe cose non vanno dimenticate!"