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by editor | set 14, 2015 | Resistenze, | 0 comments
I Paesi extraeuropei non erano la sola sede in cui emigrare: accanto ad essi, molti Italiani scelsero l’emigrazione in Francia .La Francia, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, diviene abituale terra di migrazioni stagionali per le popolazioni dell’arco alpino occidentale,le quali erano solite recarsi in Costa Azzurra per dedicarsi ad attività di piccolo artigianato e, talvolta, per chiedere l’elemosina ai facoltosi villeggiantiinglesi che venivano a svernare nelle lussuose località costiere. Dopo aver valicato i confini, spesso in clandestinità, lungo quella che era conosciutacome “la via di Vernante” (la stessa strada fu percorsa anche dai rifugiati politici perseguitati dal fascismo, come racconta Giorgio Amendola in“Lettere a Milano), un difficile sentiero che valicava le Alpi all’Argentera, in provincia di Cuneo, gli emigranti, nella totalità dei casi poveri contadini dimontagna malnutriti e poverissimi, si affidavano letteralmente al buon cuore di chi li incontrava, sperando così di racimolare quel poco di denaro ingrado di innalzare lievemente il misero tenore di vita delle vallate alpine piemontesi.Accanto a tale migrazione per piccoli gruppi, si sviluppò ben presto anche un’emigrazione stagionale di massa diretta sempre nel sud della Francia,dove nelle cave di sale venivano impiegati moltissimi nostri connazionali; ben presto, le tensioni fra immigrati italiani in Francia e lavoratori francesiaizzati dalla solita propaganda xenofoba, esplosero: gli Italiani “portavano via il lavoro”, “erano delinquenti”, “erano per natura semibarbari” e via dipregiudizio in pregiudizio, tanto che nell’estate del 1893 ad Aigues Mortes, dopo una banale lite fra lavoratori italiani e lavoratori francesi, “grazie” aduna bufala diffusa ad arte fra la gente, secondo la quale i lavoratori italiani si sarebbero resi responsabili di alcuni omicidi, una folla inferocità uccise18nostri connazionali e ne ferì 150 (anche se le stime restano tuttora approssimative). Nonostante ciò, le forze dell’ordine francesi intervenironosoltanto 18 ore dopo la strage, lasciando sostanzialmente mano libera agli xenofobi.Un altro itinerario migratorio francese seguito dai lavoratori italiani era quello che portava alle miniere nel nord del Paese:in alcune miniera inLorena,ad esempio, gli italiani costituivano sostanzialmente il 50% della manodopera: essi -soprattutto i sardi- erano molto richiesti in quanto, date lecondizioni di miseria in cui vivevano, erano disponibili a ritmi di lavoro gravosissimi. Per queste persone, lo stesso lavoro che significava redditomagro, equivaleva anche a morte certa anzitempo a causa di malattie polmonari come la silicosi.Ai padroni francesi e allo Stato italiano conveniva sfruttare questi lavoratori: nel 1916 il Governo italiano stipula con quello francese un accordo colquale, in cambio di manodopera, l’Italia avrebbe ricevuto quantitativi di carbone in base alla produttività dei suoi emigranti. Come vedremo, talemodalità sarà usata dai governi italiani sino agli anni Sessanta del Novecento.Alla fine della seconda guerra mondiale, quando il Paese, ridotto allo stremo, avvia la sua ricostruzione, le emigrazioni di massa verso i Paesi europeiconoscono un nuovo picco: oltre alla Francia, gli Italiani, non solo del sud, si avviano verso la Svizzera, il Belgio, la Germania e la Svezia. I governistessi, al fine di ottenere materie prime a basso costo, si impegnano con protocolli appositi a garantire l’emigrazione di quote di operai verso i Paesiche ne fanno richiesta: a tal fine, il Governo italiano ottiene dalla Banca Mondiale che il nostro Paese sia inserito nella lista di quelli in cui si agevolal’emigrazione. Chi sono gli emigranti del Dopoguerra?Si tratta soprattutto di minatori, ma non solo: accanto ad essi, fanno le valigie centinaia di migliaia di contadini che scelgono di trasformarsi in operaiper potersi garantire un futuro. Partono a migliaia sui “treni della speranza” che, varcando il Sempione e il Brennero, scaricheranno in Paesi ostiliuomini strappati alle terre e alle famiglie. Una volta giunti nei luoghi di lavoro, molti di loro verranno avviati in apposite baracche di legno, campi diconcentramento volontari in cui gli emigrati erano relegati al fine di tenerli lontani dalle città, da loro viste come miraggi lontani. “Vietato l’ingresso aicani e agli italiani” stava scritto in molti locali pubblici frequentati dagli stessi padroni che facevano profitti sulla pelle di quei lavoratori misconosciuti ediscriminati. Fra tutte le vicende di sfruttamento e alienazione, la più nota universalmente è la tragedia nella miniera Marcinelle in Belgio, ove l’8Agosto1956, in seguito ad un incendio, muoiono 262 lavoratori, fra cui 139 italiani immigrati.A partire dagli anni Settanta del Novecento, i flussi migratori dall’Italia verso i Paesi europei diminuiscono per due ragioni opposte: per ilmiglioramento delle condizioni di vita nel nostro Paese, a seguito delle grandi conquiste economiche e politiche dei lavoratori, sia perché, con la crisipetrolifera del 1973, i Paesi in cui erano impiegati i nostri lavoratori rimandano indietro una manodopera ritenuta superflua in periodo di crisieconomica. Negli anni Ottanta del Novecento l’emigrazione dall’Italia risulta pressoché inesistente e solo negli ultimi anni, a causa della dura crisieconomica e delle politiche di tagli ai servizi sociali e di precarizzazione del lavoro, essa torna prepotentemente in scena e ci fa capire una cosa: ilbenessere, le conquiste sociali, i diritti, non sono mai acquisiti definitivamente; bastano un po’ di anni “storti”, bastano un po’ di governi antioperai, etutto ciò che si credeva consolidato viene messo nuovamente in discussione. Per questo oggi, quando vediamo arrivare milioni di personeimpoverite e alla ricerca di una nuova vita, dovremmo, in quanto italiani con quella storia alle spalle, comprendere non una, ma due volte le ragioni cheli hanno mossi; spesso le medesime ragioni che anche ora, mentre sto scrivendo, stanno muovendo giovani disoccupati o precari a lasciare la nostraPatria alla ricerca di una vita degna di essere vissuta.