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Quando gli occhi non sono che “laghetti tragici e luminosi”.

Creato il 02 gennaio 2012 da Pasquale Allegro
I racconti di Giuseppe Notaro.
Quando gli occhi non sono che “laghetti tragici e luminosi”.di Pasquale Allegro
Quando gli occhi non sono che “laghetti tragici e luminosi”. Sembra quasi, di fronte a questa similitudine, di assistere al commiato del giovane Werther; pare tanto di ripudiare, una volta per tutte, lo scialbo inflettersi attuale della letteratura davanti al sentimento civile sterile e demagogico. Uno smacco all’eternità, quando questa non è che l’altro nome che si dà alla poesia. Tutta questa altisonanza nell’incipit solo per annunciare che, delle volte, abbiamo dato i natali a delle personalità letterarie di spicco, ad autori, come dire, neoclassici nei colori e nell’ardore, come fossero un umano ossimoro tra passato e futuro di una prosa contemporanea tutta tesa a rinverdire i canoni di un’ordinata bellezza. Con cadenza periodica, potrebbe dunque capitare di imbattervi, percorrendo in lungo e in largo il morbido selciato di storia e di ricordi del Corso Numistrano, in una figura d’uomo di gran classe, una persona fine e distinta. Presentandosi questi come Giuseppe Notaro, di professione notaio per oltre 35 anni, vi parlerà del suo amore per quello che era il suo borgo natio, Nicastro, un paesotto allora scevro da sozzure architettoniche e progressive corruttele industriali, meno ‘ndranghetista, forse, e meno antimafista, di certo. Vi spiazzerà pertanto con il suo pensiero nostalgicamente fiero di chi rappresenta un “cervello di ritorno”, di contro all’avversa categoria in cui, per definizione, comunemente raduniamo i “cervelli in fuga” o coloro che abbandonano con infinita ingratitudine l’origine e il concepimento del loro personale vissuto. Eppure un non so che di romantica seduzione pervade la narrazione che questo galantuomo vi farà di eventi e personaggi che hanno sconquassato la sua lunga esperienza di incantatore di sensibilità quotidiane; sì, proprio così, di ogni giorno, di umili circostanze, di apparentemente banali situazioni e di personaggi, veri o presunti. Da questa finestra sul mondo della sua scrittura nasce, pertanto, una raccolta di racconti, L’amante di Jacopo Salviati e altre storie, involucro speciale di ricordi e fantasia, edito da “Società Editrice Fiorentina”. Vivendo l’autore, ormai da tanti anni, nel cuore verde della Toscana, nel raccontare le vite di illustri personaggi del passato srotola un tappeto di campagna che si adagia come sfondo terraneo di realtà: “Cipressi che si ergevano verso l’alto come tante pennellate di verde cupo, tipici del paesaggio toscano”. Una scrittura che restituisce così, parola per parola, tela su tela, immagini poetiche a far da contesto.I vari racconti si susseguono come improntati alla necessità di essere esplorati dall’animo umano più incline a cogliere il senso della vita che sottintende quelle storie, solo all’apparenza, più flebili. Come nella tragicommedia Chi era Edmea Lari?, storia di corna e sotterfugi, in cui la protagonista, come catapultata in una breve piece teatrale di De Filippo, rappresenta una sorta di eroina negli intenti, un’involontaria artefice di un destino beffardo che muove ad un tragico epilogo. Prima di tutto, questa preziosa raccolta di racconti rivela le raffinate doti di scrittore del dottor Notaro (ha vinto alcuni premi letterari, e questa è una di quelle volte in cui ciò denota un’effettiva qualità), con cui, insieme ad una particolare attenzione pittorica, cesella magistralmente i suoi accorgimenti lirici; i volti e le sfumature biologiche dei suoi personaggi sono trattati come minute opere di contemplazione a sé: “È un uomo che porta le rughe del volto come decorazioni”, così si abbandona ad un’originalissima descrizione il capitano Hauser in Il nulla è l’universo senza di me, libero rifacimento di una vecchia favola ripescata dall’autore nel suo scrigno di ricordi. E, come segue, è con questa immagine che Hauser/Notaro definisce il tratto di una donna: “La sua voce ha lo stesso colore morbido dei suoi capelli”. Un suono (voce) simile ad un colore, uguale ad una certa consistenza (morbido). Puri virtuosismi, degni di un Pedro Salinas redivivo. “Scavo trincee di parole dove nascondere il capo”; esperimenti di stile in grado di architettare esecuzioni provvisorie di eterna bellezza. Una scrittura che comunque non si compiace mai, anzi pullula di sgargiante ironia, finanche nella tragedia: piccole sentenze come “I suicidi sono solo degli impazienti!”, o ancora, “Diffido degli ottimisti. Sono soltanto la claque di Dio!”, sono tutti episodi esemplari di un pungente e beffardo tentativo di distacco dal dramma esistenziale in cui i personaggi di queste storie si trovano immersi a vivere, loro malgrado. E’ la dura legge del caso, della reazione umoristica ad esso di pirandelliana memoria. L’importanza di questo libro risiede, peraltro, anche nella sua caratteristica di aver saputo tracciare delle trasposizioni filtrate (una folgorazione la capacità storiograficamente fantasy del Notaro!) di taluni episodi storici, come tali veramente accaduti: si narra, ad esempio, di una certa Caterina Canacci che, diventando l’amante di tal ser Jacopo Salviati, si avvia ad affrontare le nefaste conseguenze di un percorso che, inizialmente incastrato tra le strette piacevoli di una travolgente passione, s’inerpica poi verso il dramma vizioso e paludosamente consumato di una forma sterile di adulterio. Con tanto di risvolti sanguinolenti. Eppure, tra le impressioni riportate, c’è ancora un ulteriore gesto narrativo che merita attenzione, un impeto espressivo che sguscia via tra le sequenze di una normale e regolamentata tecnica narrativa. Un appiglio scudisciante, un’immersione, una suggestione, come da cinematografia della parola: dal piatto rilievo della pagina si librano luccichii che a prima vista paiono insignificanti e ovattati riflessi, ma che si rivelano poi potenti e profondi scorci di luce, immagini dettate dal gusto squisitamente letterario di avvolgere il lettore nel canovaccio estetico di piccoli dettagli. In Lettera dal fronte, ad esempio, uno scambio di sguardi, che fa da premessa ad una futura completa visione nell’amore, viene suggellato da una delicata istantanea: “Conigli gialli presero a fuggire lungo l’aia nascondendosi negli anfratti”. Come in un campo lungo felliniano, come in un esercizio di stile orgogliosamente fine a sé stesso, come se si trattasse di rincorrere, con la cinepresa della scrittura, la bellezza insita nei tempi morti della narrazione. Anche in Fuga dall’est lo spettatore/lettore rileva questi particolari solitamente non raccolti dalla sua quotidiana attenzione; è la magica didascalia di un momento: “Col calar del sole la tenda stesa sopra l’ingresso del Caffè Tiberio faceva un’ombra sempre più piccola”. A me personalmente è capitato di imbattermi, percorrendo in lungo e in largo il morbido selciato di storia e di ricordi del Corso Numistrano, in una figura d’uomo di gran classe, una persona fine e distinta. Presentandosi come Giuseppe Notaro, mi parlò del suo amore per quello che era il suo borgo natio, Nicastro. E mentre accadeva tutto questo, “i conigli gialli uscirono con circospezione dai loro nascondigli e presero a brucare avidamente il trifoglio fresco della scarpata...”
Titolo: L' amante di Jacopo Salviati e altre storie
Autore: Giuseppe Notaro
Editore: Società Editrice Fiorentina (collana Narrativa)
Anno di edizione: 2011
Pagine: 228 - con inserto iconografico a colori
Prezzo: € 12,00 – disponibile anche in e-book € 6.49
Da "Il Lametino", 2011

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