Scommetto che sul radicchio di Treviso non sbagliavi, o ti facevano il culo
“Cinese”, nel linguaggio contemporaneo, ha assunto il significato di “falso, taroccato”. E così giornali e blog titolano “Ecco che arriva il bergamotto cinese”, in commento alla frase, buttata là per ignoranza o non si sa cosa, da Massimiliano Ossini, che insieme a Elisa Isoardi conduce “Uno Mattina”.Ossini, una vecchia conoscenza per chi segue “Geo&Geo” su Rai 3, non è mai stato una cima –diciamocelo. Le sue carciofate grammaticali sono note, e forse l’unica qualità che gli si può riconoscere è una curriculare bella presenza.
“Ecco –dice Ossini presentando il bergamotto mentre a Isoardi tocca il cedro- questo è il bergamotto, viene dalla Cina ma ora c’è anche da noi con un marchio DOP”.
Possibile, anzi probabile, che ai tempi di “Linea Verde”, che conduceva col cuoco Vissani, in quella cucurbita vuota si sia insediato l’indottrinamento che gli agrumi sono originari della Cina. Le cucurbite vuote fanno presto a fare analogie: agrumi+bergamotto=Cina. Peccato che in questo caso non funzioni, perché il bergamotto ( Citrus bergamia) è un bell’enigma per i botanici. Il bergamotto non è mai stato trovato allo stato endemico, per cui si propende per una nascita dovuta ad un ibrido naturale o ad un innesto orticolo.
La storia del bergamotto calabrese è nota: fu Procopio de’ Coltelli a portarlo alla corte del Re Sole, afflitta da ogni sorta di puzza e miasma immaginabile.
Ça va sans dire, il Re Sole fu entusiasta del bergamotto, delle sue qualità antisettiche e disinfettanti, e del profumo di pulito. Procopio aprì anche il primo caffè di Parigi, inventò il sorbetto e spacciava tè, caffè e legalissime sostanze stimolanti a illuministi, rivoluzionari, imperatori, grandi letterati, artisti. Insomma Procopio de’ Coltelli ha aperto la strada alla grande azienda profumiera francese, basti pensare che Jean Claude Ellena, il famoso “naso” della Maison Hérmès, va personalmente a Condofuri a prendersi pochi litri di essenza biologica.
Se adesso c’è anche in Calabria, vorremmo sapere dov’è stato fino ad ora! Ossini, per favore, illuminaci con la tua sapienza!
Non c’è affatto da ridere invece sulla scena muta del Presidente del Consorzio DOP, Ezio Pizzi, il quale non solo non ha corretto, ma non ha fatto neanche portare in trasmissione i bergamotti calabresi.
È un episodio di grave negligenza di cui chiediamo spiegazioni al Consorzio del Bergamotto.
Quanto accaduto è frutto non solo di grave ignoranza, incompetenza, trascuratezza e irresponsabilità, ma soprattutto di una cultura italiana che vuole la Calabria sempre più marginale, alla quale è impossibile riconoscere di possedere un prodotto unico nel globo, che vale decine e decine di volte uno qualunque dei prodotti agroalimentari dell’Italia del Nord.
La strategia è quella di farci pensare che siamo poveri, che lo siamo sempre stati, e che dunque sempre lo saremo. È perfettamente inquadrabile nell’economia dell’Italia unitaria, che vuole un Sud sempre più povero a vantaggio di un Nord iperprotetto. Tutte le suggestioni positive dell’economia devono essere “nordiche”, padane, toscane. Alla Calabria tocca il ruolo di sorellastra stracciona, che vive di carità, stupida e senza risorse, che non riuscirebbe neanche a tirare la settimana se non fosse per le regalìe della buona e generosa sorella Nord. Al più ci viene riconosciuto un ruolo folkloristico.
Che sia tutto l’opposto di così qualcuno lo pensava già quarant’anni fa, ma oggi la coscienza storica è più diffusa. Chiediamoci perché è Jean Claude Hellena a venire a Condofuri a prendersi il nostro bergamotto, chiediamoci perché non c’è una Hérmès calabrese. Fu stabilito, all’atto dell’unificazione d’Italia, che il Sud non dovesse più “intraprendere” . E così è stato. Nessuno conosce il nostro bergamotto, perché lo stato italiano decide che non si deve conoscere. All’Italia siamo serviti solo per pagare debiti e a finanziare il Nord, qualcuno pensa seriamente che ci lascerebbero metter su aziende profumiere?
La scivolata di Ossini è frutto di quell’ignoranza crassa e supina in cui i giornalisti vivono e fanno vivere noi meridionali a tutto beneficio del Nord. Era –insomma- prevedibile e “telefonata”.
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