Maricia novembre 07, 2012
Esiste, tra i molteplici talenti esistenti, quello dedito all’ascolto, all’intuizione.
Chi ne è dotato è capace di raccogliere e interpretare ciò che lo circonda nel modo più appropriato: dal semplice malessere di un amico, all’inspiegabile evolversi del tempo.
In un certo qual senso è come se il loro orecchio fosse pronto a cogliere la nota giusta nell’esatto momento che le spetta, le loro dita a toccare la corda adatta a realizzare il suono necessario a spiegare un determinato significato, la loro sensibilità a scegliere le esatte parole per quell’emozione, per quella sensazione di inadeguatezza, di felicità o di speranza che si intende trasmettere.
Questa combinazione di versatilità incastrate realizza un mestiere antico, che, seppure abbia, nella storia, cambiato spesso la sua denominazione, ha sempre definito la capacità di comunicare, ai tanti diversi ascoltatori, anche senza che lo guardassero, il medesimo sentimento.
Questa è l’arte del cantautore e, nella nostra storia italiana abbiamo avuto la fortuna di avere differenti personalità votate a questa meraviglia ma, fra tutti, qualcuno merita di essere ricordato per aver rivoluzionato la considerazione del vestito che si trovava ad indossare, e per esserne stato tanto capace da rendere la sua musica pronta a suonare come se fosse in grado di essere sempre dedicata al presente, prima sugli antichi 45 giri, poi passando sulle musicassette, per fermarsi, almeno per adesso, sui nostri i-pod.
Impossibile parlare di Rino Gaetano nel tentativo di inquadrarlo in una categoria, Rino sfuggiva a qualsiasi etichetta, surreale, dissacrante ed ironico persino quando cantava delle più gravi problematiche sociali, contro la censura e la polemica cui è stato spesso sottoposto indossava un cilindro ed un sorriso.
La sua graffiante e inconfondibile voce ha sfidato e vinto il rischio di poter essere, in qualche modo, classificata e si è resa, inconsapevolmente, amica di tutte le generazioni che sono venute dopo di lei.
“Sfiorivano le viole”, “Gianna”, “Ad esempio a me piace il sud”, “Nuntereggae più”, “Supponiamo un amore”, “Agapito Malteni il ferroviere”, “Tititi”, sono classici senza tempo, e così, come facilmente potevano distendersi sulle labbra, fischiate da nostro nonno, oggi non è raro incontrare ragazzi che le canticchiano in metro.
Ecco che Rino, nonostante gli anni che ci separano dalla sua scomparsa, canta ancora della sua Aida, della nostra Italia, e, nonostante il tempo passato, la sua canzone resta, anche per noi che non abbiamo mai avuto la gioia di vederlo in carne ed ossa, il più bel canto d’amore che per la nostra nazione sia mai stato scritto.
Su di lui sono stati versati fiumi d’inchiostro, quello che mancava però era il racconto di qualcuno che potesse parlare di Rino come si parla di un amico di vecchia data, nella semplicità e nella familiarità delle sue abitudini.
E a questo, fortunatamente per noi, ha pensato Enrico Gregori, giornalista de “Il messaggero”, che negli anni in cui Rino cominciò a cantare era critico musicale, e, proprio grazie a questo comune amore per la musica, conobbe e fu legato al cantautore da una grande amicizia.
Con “Quando il cielo era sempre più blu” pubblicato da Historica Edizioni, lo scrittore dedica a Rino il racconto dei ricordi che li uniscono, in realtà pero’ il suo libro diventa più un regalo per noi, quel caffè mancato con il nostro immortale amico mai conosciuto.
TheFreak ha avuto il piacere di intervistarlo:
Come nasce l’idea e la voglia di regalare i ricordi dedicati a Rino?
Ci pensavo da tanti anni, ma avevo sempre timore di allinearmi a fiction e a libri già usciti. Con il tempo mi sono accorto di una cosa straordinaria, ossia che Rino è amatissimo anche da ragazzi di 18-20 anni. Allora mi sono deciso e ho pensato di scrivere di lui nella sua dimensione privata.
Qual è stato il ricordo che, mentre scriveva il suo libro, l’ha fatta sorridere di più?
Frequentare Rino era un susseguirsi di situazioni divertenti, ironiche e surreali. Per cui non posso parlare di un aneddoto in particola. Conservo la sensazione di essere stato nel mezzo di una scarica di fuochi d’artificio.
Il suo libro racconta di un amico speciale. Lei che lo conosceva, ci aiuti ad immaginare: Rino avrebbe comunque scritto anche se fosse nato nel fatidico nuovo millennio, in questi ani si è mai trovato a fantasticare sulle canzoni che avrebbe potuto comporre oggi?
L’impressione è che i tempi siano cambiati fino a un certo punto. Corruzione, prezzi alle stelle, petrolio a cifre astronomiche, politici egoisti e disinteressati al buon governo. Penso che a Rino non sarebbero mancate le fonti di ispirazione nemmeno oggi. Me lo immagino forse ancora più dissacratore.
Rino è conosciuto anche dalle generazioni successive alla sua scomparsa, evidentemente le sue parole sono senza tempo, quale crede sia fra tutti sia il messaggio più importante che ha inteso lanciare?
Lui non si sentiva un “messaggero” ma uno che condivideva la realtà della gente comune. Credo che la sua genuinità, la sua sincerità, lo facciano sembrare anche oggi ai giovanissimi, come un amico che ti racconta le cose prendendo un caffè o facendo una passeggiata.
E se questa “passeggiata” ascoltando le sue splendide canzoni non mancate di farla, non potete non acquistare questo libro.
http://www.historicaedizioni.com/libro.asp?ID=67