Il denaro ha da sempre svolto un suo ben preciso ruolo, oltre che nella storia dell’uomo, anche nell’arte, anzi per
l’esattezza un duplice ruolo. E’ stato elemento più e più volte raffigurato ed è stato insieme strumento non solo di pagamento ma anche pendolo di
fortuna o di sfortuna per il valore che contestualmente poteva venir attribuito ad una opera d’arte, facendo così propendere verso la ricchezza o la miseria, verso la fama o l’anonimato, la sorte
dell’autore, del gallerista, del critico che aveva, con le sue parole, caldeggiato o bocciato. Al punto che l’arte è divenuta non solo un godimento dello spirito e dell’intelletto ma oggetto
finanziario di risparmio e di speculazione. E a questo punto anche i proprietari delle opere stesse sono entrati a far parte del circolo delle fortune e delle sfortune, trovando ora conforto, ora
disperazione negli investimenti effettuati. Denaro ed arte dunque
sempre più sono divenuti due mondi legati tanto che la fama dell’artista, ahimé sempre più spesso, non si evince dalla qualità dell’opera invero sempre più oggetto di una interpretazione spesso
rilevata e rilevabile da addetti ai lavori e non dal vasto pubblico, quanto dall’esito di quel processo che, attraverso il placet della critica e l’impegno del gallerista, riesce o meno ad
ottenere un piazzamento sul mercato tale da divenire non opera d’arte nel senso scolastico del termine, quanto oggetto cult, status symbol, il cui valore sta spesso più nella blasonata
celebrazione critica che non in una oggettività faticosamente palpabile.
Non è certo regola questa ma, entro certi termini una sorta di percorso quasi obbligato da seguire per gli addetti - i quali malvolentieri se ne sottraggono, anche per una sorta di
corporativismo - ed un riferimento sempre maggiore per i collezionisti, oramai molto spesso, forse troppo, parafrasati in investitori ed influenzati
più dal possibile e futuribile valore finanziario del loro sforzo che non dalle peculiarità artistiche intrinseche all’oggetto dell’investimento stesso. Certo l’opera d’arte sempre con minore
frequenza è frutto di committenza e di quel mecenatismo che ne vide gli splendori rinascimentali, allorquando il pittore veniva pagato per la prestazione o addirittura annualmente dalle varie
Signorie. Pertanto quasi per necessità é dunque nato un meccanismo che possa assolvere al ruolo di intermediario tra domanda e offerta in mancanza della quasi scomparsa categoria dei
committenti.
Così recitava il contratto: “Sia noto e manifesto a qualunque persona che vedrà o legierà questa presente scritta come a preghiera del venerabile religioso messer Francesco di Giovanni Tesori, al presente priore dello spedale degli Inocenti di Firenze, e Domenico di Tomaso di Curado [Ghirlandaio] dipintore, Io frate Bernardo di Francesco da Firenze, frate ingiesuato, a frate questa scritta di mia mano per convegna e patto e allogazione díuna tavola díaltare a andare nella chiesa del sopradetto spedale degli Inocenti con patti e modi che qui di sotto si dirà, cioè: Che oggi questo di xxiii díottobre 1485 el detto messer Francesco dà e alluoga al sopradetto Domenico a dipingere uno piano, el quale è fatto e à avuto da detto messer Francesco, el quale piano à fare buono detto Domenico, cioè à pagare, e à a colorire e dipignere detto piano, tutto di sua mano in modo come apare uno disegno in carto con quelle figure e modi che in esso apare, e piú e meno secondo che a me frate Bernardo parrà che stia meglio, non uscendo del modo e composizione di detto disegno; e debbe colorire detto piano tutto a sua spese di colori buoni e oro macinato nelli adornamenti dove acadranno, con ogníaltra spesa che ín detto piano acadessi, e líazurro abbia a esse oltramarino di pregio di fiorini quatro líoncia in circa; e debba aver fatto e dato fornito el detto piano da oggi a trenta mesi prossimi a venire; e debba avere per pregio di detto piano comíè detto, e tutto a sua spese, cioè di detto Domenico, fiorini centoquindici larghi se a me frate Bernardo soprascritto parrà se ne venghino, e possi pigliare parere di detto pregio o lavoro da chi mi paressi, e quando no mi paressi se ne venissi detto pregio, níabbia avere quel meno che a me frate Bernardo parrà; e debba in detto patto dipingere la predella di detto piano come parrà a fra Bernardo detto; e detto pagamento debba avere in questo modo, cioè: chíel detto messer Francesco debba dare al sopradetto Domenico ogni messe fiorini iii larghi, cominciando a di primo di novembre 1485, seguendo di mano in mano, come è detto. ogni mese fiorini tre larghi... E non avendo detto Domenico fornito detto piano frallo infrascritto tempo, abbia a cadere in pena di fiorini xv larghi; e cosi se íl detto messer Francesco non oservassi il sopradetto pagamento, abbia a cadere nella sopradetto pena in tutta la soma, cioè che finito detto piano, gli abbia a dare intero pagamento del tutto la soma che restassi. Io messer Francesco di Giovanni sopradetto son contento a quanto di sopra si contiene, e per chiarezza di ciò mi sono soscritto di mia propia mano, anno e mese e di detto di sopra, e obrigo detto spedale etc. Io Domenico di Tomaso di Curado dipintore sono contento a quanto di sopra si contiene, e per chiarezza di ciò mi sono soscritto di mia propia mano, anno e mese e di sopradetto”.