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Quando il dolore non si dimentica, anzi e’ sempre presente!

Creato il 03 luglio 2011 da Anticasta

BASTA GUARDARE LA “MADDALENA” IN VAL DI SUSA IO LI CHIAMEREI CRIMINI DI PACE.

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In nome del pragmatismo, la sinistra ha perso l’anima.
E’ rimasta senza parole mentre il senso di tutte le parole veniva alterato
Dagli altri politici. Per timore di apparire poco attuale si è mimetizzata
Negli stili e nell’immaginario del momento. (…)

Roberto Savio

 

Il 23 giugno di settant’anni fa Hitler invadeva l’Unione Sovietica. Si calcola che nell’ultima Guerra Mondiale siano morte milioni di persone. Milioni no migliaia. Gli storici parlano di venti milioni di sovietici morti. Lo storico Viktor Koslov, membro dell’Accademia delle Scienze di Mosca, ci segnala che negli ultimi studi realizzati, una stima approssimativa riferisce 40 milioni di soldati e civili di quel paese.

 

Stupisce però, che storici, sociologi, psicologi e saggisti non abbiano potuto trovare il modo di spiegare perché la Germania, dopo essere stata sconfitta nella Prima Guerra Mondiale 1914-1918, un quarto di secolo dopo, nel 1939 fa scattare la Seconda Guerra Mondiale. Dopo quella sanguinosa guerra di trincea, dove si sbranavano da ambo le parti, quei giovani muniti di baionette si confrontavano attaccando attraverso i vari fossati, si arrivò agli estremi di scatenare massicci e crudeli bombardamenti su delle città aperte, con l’epilogo da parte degli Stati Uniti d’America del Nord, sganciando bombe atomiche su delle città con migliaia di abitanti. C’è da domandarsi. Cosa è accaduto all’essere umano? Ciò si domandano le nuove generazioni tedesche. Un paese con delle università piene di sapienza, con una importante tradizione filosofica e di infinite ricerche, con importanti movimenti pacifisti.

 

C’è da ricordare sicuramente il libro di Erich Maria Remarque – un importante trattato antibellico – chiamato “Senza novità dal fronte”, che ottenne il Premio Nobel nel 1928. Il dolore, la stupidità delle armi, la vacuità degli ordini militari, la vocazione assassina che senza badarci abbastanza fa preda e s’impossessa dei giovani inviati al fronte.

Infatti, su questo particolare, è stato pubblicato ultimamente un libro che ha commosso la società tedesca. “Soldati” è il titolo, ed è un insieme di protocolli sostenuti da tre parole: “lottare, uccidere e morire”.

Sono le dichiarazioni di soldati intervenuti nelle guerre. Emerge chiaramente in quel contesto come i giovani all’indossare l’uniforme ed essere forniti con delle armi comincino a sentirsi onnipotenti.

Nell’analisi del libro, Felix Ehring indica come la guerra, “trasforma il soldato in assassino, perché uccidere è una meta del suo facile agire”.

Il libro è il compendio delle dichiarazioni di veterani di guerra. Lì si evidenzia come si modifica l’essere umano quando viene impartita l’ordine di uccidere, e che il soldato lo assume come un privilegio. Ciò che accade per lui fa parte della normalità essere circondato da cadaveri nella sua quotidianità. La stessa percezione viene percepita dal soldato quando occupa le città nemiche e vede le donne dei suoi nemici. Crede di avere il diritto d’impossessarsi e violentarle. La stessa percezione manifestano i piloti dei bombardieri. Uno dei piloti intervistati orgoglioso della sua funzione dice: “Per noi, piloti dei caccia, era come una specie di prologo al piacere quando dall’alto perseguitavamo colo fuoco della mitragliatrice i soldati nemici in mezzo ai campi”. La stessa cosa accade con i bombardieri quando sganciano le bombe sulla popolazione civile. E’ come sentirsi degli dei, come consegna di un aspetto positivo perché così si “impara a difendere la Patria”. Ci dice ancora Ehring in relazione alle risposte dei soldati: “”Non ci sono contraddizioni, tutti sanno cos’è uccidere e morire”, scontato pure che si tratta della morte degli “altri”, gli esseri u,mani definiti “nemici”, e questi ex soldati non ritengono “necessario” di lamentarsi per ciò che hanno fatto. Gli ex soldati non riescono e non le interessa parlare dei loro sentimenti, anzi riescono a parlare d’altro. Uccidere esseri umani nella guerra si associa ad una specie di sport, e vince chi uccide più gente “nemica”.

Gli autori del libro “Soldati” Sònke Neitzel e Harald Welzer, hanno avuto la fortuna di scovare alcuni archivi di guerra in cui si trovano le dichiarazioni e i racconti dei soldati, sottufficiali e ufficiali nelle loro missioni. E sono arrivati alle seguenti conclusioni: “Gli uniformati credevano con fede assoluta nei valori militari di durezza, rigore e ubbidienza nel dovere, che è una ubbidienza cieca alle indicazioni di comando. Anche il fucilare civili indifesi fa parte di questo dovere. L’hanno fatti la prima volta per ubbidienza dovuta, in seguito l’hanno fatto per propria iniziativa. In guerra, ogni persona civile è sempre una potenziale meta. Gli autori del libro, dopo un approfondito studio, sono giunti a sostenere che soldati, polizia e membri dei servizi informativi, continuano a pensare, che quello è il loro “mestiere”.

Sarebbe importante affrontare uno studio similare in Argentina, e indagare il comportamento dei capi, ufficiali e subalterni delle Forze Armate, polizia e gli impiegati dei servizi d’informazione durante il periodo in cui veniva applicato il metodo delle sparizioni (desaparecidos) delle persone.

Per esempio, studiare se i piloti degli aerei che buttavano i prigionieri vivi al mare, sentissero tutto il potere che percepivano i piloti che bombardavano e bombardano ancora dall’alto le città indifese. Ciò che è importante, e che va studiato approfonditamente, da parte dei nuovi professori delle istituzioni militari per far sì che non si ripeta mai più l’atmosfera vissuta tra i membri delle Forze Armate durante la dittatura.

E qui nasce la domanda: perché quei membri delle Forze Armate, della polizia, e dei servizi, si sono sentiti onnipotenti e cedettero di essere i padroni della vita e della morte di tutti? Con diritto di uccidere, torturare, far sparire, regalare i bambini delle prigioniere. Ovvero, si sono sentiti con gli stessi attributi dei soldati in paesi nemici? Come i piloti dei bombardamenti delle città abitati da civili? E’ il potere che danno le istituzioni politiche (o economiche) agli uniformati nei momenti di pericolo? Non è forse il l’ora di cominciare un dibattito nelle Nazioni Unite e negli organismi internazionali per cambiare i sistemi di autocustodia e di sicurezza prodotti dall’umanità a partire dagli albori della storia e con il ripetersi di crimini ufficiali ogni volta con più assassinii e violenza al servizio del potere e non della pace tanto interiore come esteriore dei popoli?

Perché non si tenta una volta per tutte il dialogo di fronte alla violenza e la repressione? E’ così difficile?

La repressione non è altra cosa che l’onnipotenza del potere. Invece di nuove idee e di conciliazione, si usa il bastone! I gas lacrimogeni illegali per la loro composizione chimica. Sottoporre il nemico alle docce gelate durante l’inverno. O semplicemente, una pallottola. Quando il nemico non impara, allora bastano tre o quattro morti per fare arretrare tutti. E’ questa la consegna del potere. Il buon amministratore non deve perdere mai la pazienza.

Deve credere nel dialogo. Fare partecipe la società civile nella ricerca di soluzioni ai problemi.

Mentre la Commissione Ue spinge l’Italia a siglare l’intesa bilaterale con la Francia sulla ripartizione finanziaria, Gianni Vattimo invita l’Europa a non erogare fondi per un progetto <<fatalmente condannato a fallire>>.

Nel frattempo Angelo Tartaglia, docente al Politecnico di Torino è impegnato a esprimere: “Qualche Buona Ragione (Non Manganellabile)” <Perché la Torino-Lione non ci serve>.

Tra le altre importantissime considerazioni fatte dal Prof. Tartaglia, trascriviamo alcuni passaggi che mi sembrano cruciali. “…Per altro il flusso di merci in transito sulla ferrovia della Valle di Susa, e anzi attraverso l’intera frontiera italo-francese, è in calo continuo dal 1997 ed è meno di un quinto della capacità attuale della linea.

Quanto ai passeggeri, il numero di treni tra Torino e Lione-Parigi è stato anch’esso progressivamente ridotto arrivando oggi a due collegamenti al giorno, spesso eserciti, tra Torinoi e Chambéry mediante autobus (ne bastano due per accogliere tutti i passeggeri)….”

“…E’ rilevante il fatto che i sostenitori del Tav non provano nemmeno a smontare , dati alla mano, considerazioni come quelle che ho appena schematizzato. Preferiscono usare la forza pubblica e la retorica.

Non si tratta naturalmente di una specie di aberrazione mentale; c’è qualcosa di più sostanziale in gioco.

Data una grande opera (qualunque essa sia): 1)il sistema finanziario (che anticipa il denaro) ha un guadagno certo e ingente in quanto garantito dallo stato; 2)chiunque controlla il sistema degli appalti ha un potere e un ritorno rilevantissimo, non foss’altro che perché attraverso il meccanismo dei subappalti e sub-subappalti ha la possibilità di lucrare plusvalori estremamenti ingenti senza correre rischi di sorta, che semmai vengono scaricati sui più piccoli al fondo della catena”.

“Insomma è vero che c’è un problema di ordine pubblico: la società italiana è occupata da una specie di fungo parassita che copre tutta la superficie succhiando linfa vitale e impedendo al sistema di respirare. Abbiamo un grande bisogno di liberarcene”.

L’articolo completo può essere letto su “il manifesto” del 30-06-2011 a pag.8

L’altra fonte è: Pagina/12, Buenos Aires, Argentina, del 25-06-2011, di Osvaldo Bayer, “El dolor que no se olvida”.

Luigi Ragonese


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