Quando il dottor non è più Be(l)lo

Da Psicologiagay
 

Leggendo il numero di giugno di Psychologies (non vorrei ricordare male), rivista alla quale sono abbonata e che reputo ricca di spunti interessanti e di cui apprezzo idee e grafica, sono rimasta ahimè basita. Un collega psicoanalista, il dott. Belo, gestisce uno spazio dedicato alla trascrizione del primo colloquio con un* nuov* paziente ogni mese.

Questa volta si tratta di una mamma angosciata perchè non riesce ad accettare che la propria figlia sia lesbica. Non condividendo quanto affermato in alcuni punti ho scritto una email alla redazione del giornale che posto qui sotto.

Photo credit: http://www.giuseppetessera.it/la_psicologia.htm

Ecco il testo integrale della mia email. I grassetti sono stati aggiunti in questo articolo, sono assenti nell’originale inviato.

Sono basita!

Carissime,
sono un’appassionata abbonata di Psychologies, psicologa e psicoterapeuta e da anni mi occupo di orientamento sessuale e identità di genere.
Sono rimasta sconvolta nel leggere alcune risposte che il collega Belo ha dato a Matilde, preoccupata per la figlia lesbica.

Non ho mai letto niente di più eterosessista, maschilista e stereotipato! E sinceramente, venendo da un professionista, ho trovato più pesanti alcune sue affermazioni.
Soprattutto considerando il vasto pubblico al quale la nostra rivista si rivolge.

Vorrei spiegarvi meglio, riprendendo le sue esatte affermazioni, cosa ha suscitato il mio sdegno e la decisione di scrivervi.

1) A Matilde che chiede “Cosa spinge una donna a innamorarsi e a desiderare sessualmente un’altra donna” il dott. Belo risponde “Le ragioni sono diverse. In molti casi, questo tipo di relazione nasce dal desiderio inconscio di imitare il rapporto eterosessuale.”

Ma stiamo scherzando? Il fatto di replicare, in alcune coppie, caratteristiche tipiche di ruoli di genere presenti nelle coppie eterosessuali, è frutto di un’impostazione sessista che prevede cosa sia giusto che una donna e un uomo facciano. Cioè cosa rientra nel loro ruolo di genere.
La mancanza di modelli, e di modelli positivi e culturalmente conosciuti e condivisi, di coppie lesbiche e spesso una buona dose di stigma sessuale interiorizzato porta alcune (ripeto alcune) donne a ricadere nei ruoli stereotipati eterosessisti: è la classica coppia butch-femme in cui una delle due donne è molto mascolina, l’altra è palesemente più femminile e più vicina allo stereotipo della donna eterosessuale.

2) Matilde, perplessa quanto me, incalza: “Non capisco. Se si desidera un rapporto etero perchè accontentarsi di un surrogato?

La domanda è legittima: se desidero un rapporto eterosessuale perchè scegliere una donna? E poi perchè il desiderio sessuale verso un’altra donna dovrebbe necessariamente passare per un modello eterosessuale? A mio parere questa è un’ottica di tipo patriarcale e maschio-centrica dove è ovvio che la donna desideri un rapporto eterosessuale.

Ed è questo l’errore che molti compiono pensando che tutte le donne desiderino necessariamente essere penetrate (in quanto inconsciamente eterosessuali) o al contrario le donne lesbiche non amino questa pratica perchè tipica del rapporto eterosessuale.

La risposta del dott. Belo ricalca lo stereotipo dei ruoli di genere che ho esposto nel punto precedente. Infatti dice “Non è facile risponderle in breve. Queste relazioni nascono dall’incontro di due donne a struttura di personalità diversa, ma tra di loro complementari. Nel senso che l’elemento più mascolino della coppia , per un insieme di ragioni che variano da caso a caso, tende a realizzare e a soddisfare quegli aspetti di sè, tipici del sesso opposto, con cui si identifica.

Mi chiedo dove abbia studiato questa concezione. La donna lesbica mascolina, che non sia FtM, non si identifica MAI in un uomo, nè necessita di acquisire parti maschili tipiche del sesso opposto (qui ci sarebbe da parlare un anno in merito alla mascolinità femminile, al fenomeno drag king, ai vari e personalissimi modi di performare il maschile da parte sia di donne che uomini).
Probabilmente il dott. Belo ignora anche tutte le teorie queer degli ultimi decenni e il concetto chiave di decostruzione del genere.

Dal mio punto di vista Belo cade nell’errore di guardare le lesbiche e la coppia lesbica con gli occhi di un uomo, che io immagino eterosessuale il cui centro sembra essere, anche in questa risposta la coppia maschio-femmina.

3) Matilde continua: “E’ quello che si dice un’anima da uomo in un corpo di donna?” E il dott. Belo risponde: “Non è proprio così, ma più o meno rende l’idea“, confondendo ahimè orientamento sessuale con identità di genere. Errore che ai primi del novecento faceva etichettare le persone omosessuali come invertiti, in quanto invertivano il proprio ruolo di genere “facendo la donna” nel rapporto sessuale.

A tutt’oggi il filone delle terapie riparative si basa sulla stessa confusione, identificando il problema dell’omosessualità maschile come una mancanza di mascolinità. Ma la letteratura scientifica per fortuna corregge il tiro.

4) Allora Matilde chiede: “Ma se le due figure sono complementari, vuol dire che l’altra deve avere un’anima da donna in un corpo di donna. Se è così, perchè non ci cerca un uomo?“. Matilde, come la maggior parte delle persone, non essendo un’addetta ai lavori, ignora la differenza tra orientamento sessuale e identità di genere. Differenza però che uno psicoanalista dovrebbe conoscere molto bene. Tra l’altro che spiegazione si darebbe, vista questa lettura, alla lesbica mascolina della ipotetica coppia di cui parla il dott. Belo?

La risposta è “Anche qui le ragioni variano da caso a caso. Spesso si tratta di avere un’anima da bambina in un corpo da donna, per cui il rapporto con un’altra donna appare, inconsciamente, meno minaccioso che con un uomo“.

Tralasciando ipotetici casi di immaturità affettiva che possano influenzare in modo errato la scelta del/la partner, questa affermazione è assolutamente falsa. Le donne lesbiche non si innamorano di altre donne, nè ne sono attratte sessualmente perchè le reputano meno minacciose di un uomo. Mi risulta difficile pensare che una donna eterosessuale, in perfetta sintonia con il suo orientamento sessuale, possa trovare minaccioso il rapporto con un uomo? Minaccioso? Può essere complicato, difficile, estenuante, faticoso, con poca affinità sessuale, con scarsa comunicazione, ecc…ma veramente ci sono donne eterosessuali che sentono il rapporto con un uomo minaccioso? Faccio veramente fatica ad immaginare che sia possibile. A meno che non ci siano seri problemi sessuali in merito ad abusi, a molestie sessuali, a stupri, a violenze psicologiche, ecc.

Meno che mai riesco a concepire l’idea che una donna sia lesbica perchè scapperebbe da un rapporto con un uomo che vive minaccioso. Magari può non essere semplicemente interessata ad un rapporto con un uomo, no?

5) All’affermazione di Matilde che conferma di aver sentito parlare di donne che hanno paura di fare sesso con gli uomini (io aggiungo che il 99% delle volte NON si tratta di donne lesbiche, ma donne eterosessuali con difficoltà sessuali) Belo risponde: “Ed è vero. Ma in altri casi il saffismo è determinato dal desiderio inconscio di riprodurre il rapporto madre-figlia. Può succedere, quando tale rapporto è troppo intenso e chiuso in se stesso.

A queste parole sono veramente sconvolta. E’ come dire che i gay ricercano in realtà il rapporto con il padre o di colmare il difetto di mascolinità che li caratterizza (come nelle terapie riparative).

Ho la netta sensazione e mi dispiace veramente che il collega Belo non sappia niente del lesbismo, tanto che lo chiama saffismo, termine inusuale, poco utilizzato e sicuramente antiquato, praticamente assente dalla letteratura, non abbia mai conosciuto donne lesbiche e che ignori totalmente gli ultimi 20 anni di letteratura scientifica sull’omosessualità.

Considera il rapporto sessuale/affettivo tra due donne sempre in modo “patologico”: o la donna ha paura dell’uomo, o ricerca un rapporto eterosessuale e quindi si accontenta di una partner mascolina (e chi lo dice che tutte le coppie lesbiche sono così?), o ricerca il rapporto madre-figlia. MAI che dica quello che è in realtà: un rapporto maturo tra due donne che si scelgono, si innamorano, fanno sesso tra loro in modo soddisfacente e vivono nè più nè meno le stesse paure, difficoltà, tensioni e desideri di qualunque relazione d’amore tra due persone.

Occupandomi per scelta prevalentemente di questo (gestisco l’unico sito italiano di Psicologia LGBTIQQ) sono indignata da quanto il collega, che peraltro trovo molto attento e convincente, affermi.
L’ultima chicca ovviamente è sulla scelta del titolo del caso, probabilmente una scelta redazionale: “Non riesco ad accettare che mia figlia sia gay“. Considerando che esiste un termine più adatto all’omosessualità femminile (in realtà più di uno) quale lesbica, non si capisce la scelta di un termine che in italiano è rivolto esclusivamente a omosessuali maschi che vivono serenamente il proprio orientamento sessuale e che in letteratura viene usato indifferentemente per i due sessi, ma seguito da gay maschi o gay femmine.
Grazie per la cortese attenzione e la gradita risposta.

Dr Paola Biondi

p.s. per correttezza vi informo che questa lettera (e la vostra gradita risposta se vi fa piacere) sarà pubblicata anche sul mio sito.


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