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Quando il giudizio critico si merita una querela?

Da Mcnab75

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Post che nasce da un articolo letto qualche settimana fa: una blogger è stata querelata e infine condannata perché alcuni commenti lasciati a un articolo sul suo blog insultavano pesantemente un editore “con contributo”.
Come potete leggere nella pagina che vi ho linkato, i commenti incriminati erano di natura denigratoria (mafiosi, strozzini, truffatori) e, a dire dell’articolista e del giudice, non è stato possibile risalire alla vera identità di chi li lasciati. Per questo a pagare ammenda sarà la blogger che ha lasciato in chiaro questi commenti.
La notizia ha suscitato un certo clamore tra i blogger letterari di varie latitudini. Si sono alzate molte voci in difesa della condannata, anche perché tutti sappiamo qual è il “lavoro” degli editori che pubblicano previo contributo. La simpatia che stimolano in chi si occupa con professionalità di libri e scrittura e pari a quella suscitata dalla sabbia che si insinua in un costume da bagno.
E fin qui siamo tutti d’accordo. Però cerchiamo di analizzare la cosa in termini più generici.

La faccenda della reputazione online è delicata.
In Rete è virtualmente possibile generare ogni sorta di calunnia e insulto, mascherandosi dietro l’anonimato di un nickname.
In teoria nessun anonimo è realmente tale. Ma quelli bravi sanno come non farsi trovare.
Con una campagna mirata è possibile rovinare la reputazione di una persona che odiamo, o che ci dà fastidio.
Sta poi a chi è sotto bersaglio sapersi difendere e smentire voci e illazioni lasciate nero su bianco sulle pagine di un blog o di un forum. La cosa non è sempre facile. Google, del resto, ha una grande memoria.

La linea che separa il diritto di opinione e una querela per diffamazione è molto sottile.
In linea di massima dovrebbero essere i toni a fare la differenza. La critica è critica, gli insulti sono insulti. Su questa distinzione c’è poco da discutere, ne converrete.
Stando all’esempio dell’editore a pagamento e della blogger, un conto è accusare il signor editore di lavorare con scarsa professionalità, un conto è dargli dello strozzino. In questo secondo caso le possibilità di prendersi una querela (e di dover pagare ammenda) sono decisamente più elevate. (Che poi a pagare sia la povera blogger è ahimé un tasto dolente…)

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Ai fini della Legge poco importa se certe accuse sono quasi certamente vere. La presunzione d’innocenza vale anche per queste piccole cose, perciò se qualcuno insulta senza avere prove provate di quel che dice, probabilmente pagherà il fio.
La querela è un’arma potente e a doppio taglio. Da una parte permette a gente non totalmente onesta e professionale di difendere comunque il proprio nome, scambiando i ruoli tra torto e ragione. Dall’altra la querela è anche l’unica cosa che può proteggere un normale cittadino dalla diffamazione online (anche da altro, ma non ci concentriamo su questo concetto).

Personalmente, forse lo ricorderete, ho promesso di sporgere querela contro chi, come succedeva spesso in passato, continuava a citare in mio nome accostandolo a insulti e frasi denigratorie. A qualche mese di distanza da questa mia presa di posizione confermo questo mio intento. Ossia sporgerò querela a chi diffamerà il mio nome e la mia attività non attraverso il sacrosanto diritto di critica, bensì con offese e ingiurie.

Come vedete il campo si presta a molte interpretazioni e a una moltitudine di sfaccettature.
Se nel caso della collega blogger non si può far altro che solidarizzare con lei, in altri episodi la querela appare come il solo sistema per evitare a barbari e troll di abbattere l’eventuale concorrenza a colpi di ingiurie e diffamazioni.

C’è infine un’altra considerazione da fare: questo precedente, sicuramente infelice e discutibile, potrebbe responsabilizzare i blogger. Il che vuol dire obbligarli a controllare con estrema severità i commenti altrui lasciati di post in post. Certo, questo è comunque un limitare la libertà di espressione, eppure è possibile trovarci un senso, seppur partendo da un presupposto odioso (la condanna della povera collega, in questo specifico caso).

Che ne pensate?

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