Quando Kostadinov insegnò ai francesi a vincere

Creato il 20 ottobre 2010 da Bruttotackle

Nel 1986, durante la preparazione ai mondiali messicani, l’Argentina disputò un’amichevole contro Israele a Ramat Gan. Due mesi dopo gli argentini divennero per la seconda volta nella loro storia campioni del mondo e, poiché si ritenne l’incontro amichevole fosse stato di buon auspicio, decisero di rigiocare contro Israele prima dei tre mondiali successivi.
Ai mondiali del ’90 l’Argentina ottenne il secondo posto alle spalle della Germania; ma in seguito il “rito portafortuna” non diede gli esiti sperati. La magia si sarebbe spezzata alla vigilia di USA ’94, quando Maradona innanzi al Muro del Pianto si auspicò Dio fosse argentino: una “blasfemia” fatale agli argentini, che da allora avrebbero disputato edizioni mondiali deludenti, o disastrose.
Dio, o meglio, Eupalla, “la dea che presiede alle vicende del calcio, ma soprattutto del bel gioco”, aveva voltato le spalle alla Nazionale “albiceleste”; senza tuttavia perdere interesse al gioco del calcio, se è vero che si manifestò in tutta la sua ineluttabilità una sera di novembre del 1993.

“Bog e bŭlgarska! Dio è bulgaro!” Urlò la voce del cronista allo stadio Parc des princes di Parigi, mentre Emil Kostadinov, l’uomo investito da Eupalla di compiere il destino, come il Nino de “La leva calcistica della classe ‘68” di De Gregori corre più veloce del vento verso gli Stati Uniti.
Kostadinov gioca da attaccante e veste la maglia numero 7. Alla fine degli anni ottanta forma con Stoichkov e Ljuboslav Penev (nipote di Dimităr) lo straordinario tridente d’attacco della CSKA Sofia. Sebbene fosse nel complesso meno talentuoso del suo più famoso compagno di squadra, Kostadinov, anch’egli dotato di eccezionale rapidità e capace di inarrestabili progressioni palla al piede, può essere considerato come il “gemello” di Stoichkov. Calcia bene di destro, piuttosto che di sinistro; si fa valere nei colpi di testa. Nei primi anni novanta fa le fortune del Porto e incetta di coppe e campionati in terra lusitana; ma è con la maglia della sua Nazionale che compie le maggiori imprese e passa alla storia.

Al Parc des princes la Francia di Gérard Houllier e Bulgaria giocano una gara decisiva per la qualificazione ai campionati mondiali. I Blues, che hanno mancato la qualificazione ai mondiali italiani e disputato un pessimo campionato europeo in Svezia, hanno perso in Bulgaria e in casa contro Israele: gli basterà non perdere per qualificarsi e non vedersi sorpassare proprio dalla squadra di Dimităr Penev.
I francesi, forti della presenza in squadra di un fuoriclasse assoluto del calibro di Cantona, del Pallone d’oro 1991 Jean-Pierre Papin e di giocatori di ottimo livello (i vari Deschamps, Desailly, Blanc…), possono allora giocare per due risultati. Godono dei favori del pronostico e alla mezz’ora di gioco passano in vantaggio. E’ proprio l’asso dello United, Éric Cantona, a concludere a rete un’azione iniziata da Didier Deschamps sulla destra e rifinita da Papin. Ma bastano solo sette minuti che proprio Emil Kostadinov con un perentorio colpo di testa, una perfetta torsione su calcio d’angolo di Balakov, sigla la rete del pareggio.

La storia della partita si compie a un minuto dalla fine. I francesi hanno un calcio di punizione in attacco e David Ginola, ala del Paris Saint-Germain, subentrato nel corso della gara a Papin, fa partire un lungo cross che taglia in due l’area di rigore e finisce in una zona dove non ci sono giocatori francesi, ma il solo terzino Kremenliev, che si invola sulla destra e rilancia l’azione della sua squadra. La palla finisce all’altezza della metà campo al centravanti Penev, che compie un lancio spettacolare in direzione di Emil Kostadinov. Kostadinov taglia in due la difesa dei francesi e calcia un preciso diagonale di destro che si infila tra palo e portiere, alla sinistra di Lama. E’ l’ultimo minuto, la partita è finita, la Bulgaria si qualifica ai campionati del mondo del 1994: sia fatta la volontà di Eupalla!

La Bulgaria di quegli anni non è stata una delle tante cenerentole della storia del calcio europeo, quanto piuttosto una delle migliori Nazionali di calcio degli anni novanta. I suoi giocatori sono ricordati come la “generazione d’oro” del calcio bulgaro: si piazzano quarti a USA ‘94, dopo aver eliminato dalla competizione iridata i campioni in carica della Germania e perso la “finalina” per il terzo posto contro la Svezia di “Tommy” Svensson. Il suo allenatore, Dimităr Penev, è uno dei giganti del calcio bulgaro (vanta novanta presenze con la maglia della nazionale, da giocatore, e una importante carriera da allenatore a tutti i livelli). Si insedia sulla panchina della nazionale nel 1991 e costruisce la squadra sull’ossatura del “suo” CSKA Sofia, che ha dominato la scena calcistica del suo paese a cavallo tra gli anni ottanta e gli anni novanta e capace di approdare alle semifinali di Coppa delle Coppe.
E’ una squadra forte in tutti i reparti, che gioca un calcio organizzato e concreto, ma allo stesso tempo veloce e spettacolare. Davanti alla porta difesa dall’attuale presidente della Federcalcio bulgara (e padre del portiere del Twente, Nikolaj), Borislav Mihajlov, giocano quattro buoni difensori: il libero Hubcev, Kremenliev, Cvetanov e, soprattutto, Trifon Ivanov, già pilastro difensivo del CSKA. Zlatko Yankov agisce da flangiflutti davanti alla difesa; completano il reparto di centrocampo Krasimir Balakov, per anni uno dei migliori uomini assist della Bundesliga (giocherà otto anni con la maglia dello Stoccarda) e Jordan Letchkov, facilmente riconoscibile dalla calvizie (mai nascosta da un parrucchino, a differenza di quella di Mihajlov), centrocampista completo, autore della rete decisiva contro la Germania nei quarti di finale. In attacco, il tridente offensivo già del CSKA formato dal centravanti Ljuboslav Penev e i due veloci attaccanti Emil Kostadinov e Hristo Stoichkov. Purtroppo Penev (Ljuboslav) sarà costretto a saltare i mondiali, perché gli è stato diagnostico un cancro ai testicoli. Negli States sarà bene rimpiazzato da Sirakov e solo dopo i mondiali, completamente ristabilitosi, tornerà a calcare i campi di calcio e fare quello che gli riesce meglio: goal. Nel 1996 vincerà coppa e campionato con la maglia dell’Atlético di Madrid. L’ultimo dei “Colchoneros”.

Stoichkov è la stella indiscussa della squadra. In quegli anni gioca nel Dream Team di Cruijff, con cui ha vinto una Coppa dei campioni e gli ultimi tre campionati e dove forma una coppia da sogno con il brasiliano Romario. Dei due, tuttavia, è proprio Hristo l’idolo indiscusso del Nou Camp e della tifoseria blaugrana.
Campione dal carattere difficile, rapido e dotato di uno straordinario senso del goal; le sue grandi capacità tecniche e la sua personalità facevano sì fosse non solo un grande cannoniere, ma anche un eccellente uomo-assist e, più in generale, il più grande calciatore bulgaro di tutti i tempi e uno dei più bravi della sua generazione. Col mancino poteva fare qualunque cosa: passare la palla tra le gambe del difensore avversario, scavalcare il malcapitato portiere di turno con un pallonetto, calciare mortiferi tiri piazzati. Nel 1994 vincerà la classifica dei cannonieri del Mondiale (a pari merito con il russo Oleg Salenko) e sarà premiato con il Pallone d’oro.

Purtroppo questa squadra eccezionale non riuscirà a rinnovarsi negli anni e, sebbene qualificatasi anche ai campionati europei del 1996 e ai Mondiali francesi del 1998, nemmeno a ripetere l’exploit del 1994.

La Francia, invece, mancava per la seconda volta consecutiva la qualificazione ai campionati mondiali di calcio. I francesi avrebbero tuttavia sicuramente preso parte all’edizione successiva, che avrebbero giocato in casa, e la stampa locale commentò ironicamente la sconfitta scrivendo che Kostadinov aveva qualificato la Francia ai Mondiali del 1998.
Al posto di Gérard Houllier, cui riuscirà di rilanciare la sua carriera solo qualche anno dopo (sulle panchine di Liverpool e Lione), la Federazione francese sceglie Aimé Jacquet. Già vice di Houllier e alla guida della Nazionale per un breve periodo tra il 1991 e il 1992, al nuovo commissario tecnico spetta il gravoso compito di rifondare una squadra che negli ultimi anni aveva clamorosamente fallito tutti gli appuntamenti.
Jacquet interviene radicalmente sulla struttura della Nazionale francese. Fanno inizialmente clamore i tagli di Papin (che per la verità dal 1994 in poi sarà colpito da una serie di infortuni, che condizioneranno il prosieguo della sua carriera); di David Ginola, frattanto emigrato in Inghilterra, che resterà un’eterna incompiuta; soprattutto di Éric Cantona, in quegli anni uno dei più grandi calciatori della Premier League e d’Europa, ma mai profeta in patria.
Ma le scelte di Jacquet si riveleranno vincenti. La Francia degli anni a venire sarà composta in larga parte da una nuova generazione di francesi: i campioni del mondo Lama, Zidane, Djorkaeff, Vieira, Desailly, Henry, Diomède, Trezeguet, Thuram e Karembeu sono infatti tutti nati fuori dai confini francesi, o sono figli di immigrati in terra francese; nel 1998 vincerà i campionati del mondo e negli anni successivi continuerà a vincere (i campionati europei due anni dopo, con Roger Lemerre in panchina – la Confederations Cup nel 2003) e a essere una delle squadre Nazionali più accreditate.
Ancora nel 2006 Zidane e Vieira proveranno a trascinare la squadra – allenata a questo giro da Domenech, – alla vittoria della competizione iridata. Sarà il canto del cigno di questa Nazionale, che, dagli ottavi di finale fino alle semifinali, eliminerà le squadre migliori in circolazione (Spagna, Brasile, Portogallo), fino alla finale contro l’Italia di Marcello Lippi. Allora, in una partita che passerà alla storia per la “testata” di Zinédine Zidane al difensore italiano Marco Materazzi, la Francia si arrenderà solo alla lotteria dei calci di rigore e alla malasorte. Nulla di troppo strano tuttavia. Eupalla non ha mai visto di buon occhio i francesi.

Ernesto Battaglia


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