In Italia sono ben 800.000 le donne che almeno una volta nella vita sono state licenziate perché incinta (dati ISTAT). Alcuni pensano che una cosa del genere non possa capitare a qualcuno di talento, e conosciuto. Il messaggio sotto – copiato da un post su precarie.com del 19 Luglio 2007 – dimostra che non è così. A scriverlo era Claudia Vago, oggi conosciuta come @Tigella, a cui nel 2007 l’ANPI di Reggio Emilia rifiutava il contratto perché: “Non possiamo permetterci una donna incinta”. La nota tweeter, in questi giorni a Chicago per seguire Occupy Wall Street (segui #tows), si è presa una bella rivincita. Ma ci piace ricordarla com’era nel 2007, quando nessuno avrebbe creduto davvero che i partigiani (anzi, l’Anpi) le avevano fatto questo.
- Sopra: il video confessionale di @Tigella realizzato al Festival del Giornalismo, in cui Claudia ricorda il fatto -
“Mettiamo, per assurdo, che per anni vi siate occupati di organizzare una manifestazione in occasione di un’importante festa nazionale. Mettiamo, sempre per assurdo, che abbiate collaborato per anni con un’associazione di anziani ex combattenti antifascisti per organizzare questa e molte altre iniziative, senza chiedere niente per voi ma perché pensate sia importante diffondere certe idee e certi valori.
Diciamo, per esempio, anche se è chiaramente un esempio assurdo, che ad un certo punto questa associazione vi proponga un lavoro. Si tratterebbe, se questa cosa fosse vera, di un part time da 500 euro al mese. Con un contratto di collaborazione a progetto, perché questi anziani hanno fatto tante battaglie per tutelare i diritti di chi lavora e vogliono tutelare anche voi. Almeno un po’.
Poniamo adesso, e siamo davvero nel campo dell’assurdo, che ad un certo punto vi rendiate conto di essere incinte. Siete persone oneste (e un po’ pirla, diciamolo) e ne parlate subito con il presidente dell’associazione. Lui vi rassicura: non c’è alcun problema! Avrete il vostro contratto e potrete organizzare il lavoro al meglio, per voi e il vostro bambino.
Mettiamo che passino due mesi durante i quali aspettate che finalmente vi venga fatto firmare il contratto di lavoro. Nel frattempo siete rassicurati in continuazione: va tutto bene! Non c’è nessun problema!
Facciamo finta che un giorno vi chiamino nella stanza del presidente e voi pensate che finalmente! si firma il contratto e che invece vi si metta di fronte alla realtà: o lavorate in nero o niente, perché non possiamo permetterci di fare un contratto a una donna incinta.
Sarebbe assurdo, no?”
di Michele Azzu | @micheleazzu
(21 maggio 2012)