F. Zanello, a cura di, Quando l’hashish si incazzò col vino. Contrasti tra hashish e vino nella letteratura classica del’Islam, Coniglio editore, Roma 2008
Della stessa serie del libercolo sul caffè, dello stesso curatore, Quando l’hashish si incazzò col vino presenta due trattatelli, così come li denomina il testo stesso, uno di Mehmet ibn Sulayman Fuzüli (1480-1556), scritto originariamente in turco azeri con il titolo Beng ü Bade e che ci viene proposto nella traduzione dal tedesco e il secondo di Yusuf Amiri, autore del XV secolo, riesumato da un numero degli Annali dell’I.U.O. napoletano.
Entrambi si occupano del rapporto tra l’hashish e il vino in chiave simbolica presentando la personificazione dei due elementi che – come avviene spesso nella letteratura araba classica – sostengono ciascuno i loro pregi e virtù in una munàzara.
Alla Cannabis, così come al caffè, venivano ascritte diverse proprietà, tra cui quella di raggiungere un’introspezione altrimenti difficilmente ottenibile. Essa veniva preparata in palline masticabili chiamate ma‘giùn, composte da foglie di canapa, stramonio, giusquiano e semi di papavero mescolati a miele e burro e utilizzata da alcune confraternite come atto di culto.
Secondo quanto afferma al-Isirdi, XIII secolo, del quale in fondo l libro sono riportati due poemetti, uno in onore del vino e l’altro in onore dell’hashish, il segreto della cannabis è quello di portare lo spirito ai livelli più elevati in un’ascensione celeste che permette una lucida comprensione di ciò che ci circonda.