Il sapere scientifico è un edificio complesso, pieno di stanze ancora ignote e piani inesplorati. Ma le basi, le nozioni fondamentali, almeno quelle dovremmo conoscerle da tempo. Eppure non sempre è così. Prendiamo il caso dell’idrogeno: primo elemento chimico della tavola periodica, è anche il più leggero e più abbondante dell’intero universo osservabile. Quale migliore mattoncino da cui partire per la costruzione della nostra conoscenza scientifica? Tuttavia, nonostante sia stato studiato e analizzato in lungo e largo, persino l’idrogeno continua a nasconderci diversi aspetti della sua natura.
Resta un mistero, per esempio, il comportamento dell’idrogeno molecolare (che è una molecola biatomica, H2) quando viene sottoposto ad altissime pressioni, simili a quelle che si trovano all’interno di una stella o di pianeti gassosi come Giove e Saturno. Nel 1935, i fisici Eugene Wigner e Hillard Bell Huntington ipotizzarono che, se sottoposto a pressioni così alte, l’idrogeno molecolare potesse acquisire proprietà metalliche. Ma a quasi ottant’anni da allora il diagramma di fase dell’idrogeno ad alta pressione è ancora campo di discussione tra gli scienziati, e le sue esatte modalità di transizione ancora non del tutto chiare.
Uno dei problemi, naturalmente, sta nelle difficoltà che presenta la creazione di un apparato sperimentale in grado di riprodurre pressioni così elevate (per dare un’idea, parliamo di pressioni nettamente più grandi rispetto quelle, già alte, a cui si formano i diamanti). In mancanza di un laboratorio tanto potente, per scoprire qualcosa in più possiamo per ora affidarci solo alle simulazioni al computer – a patto che i modelli siano accurati e ideati in modo tale da essere affidabili.
Per indagare l’ignoto comportamento dell’idrogeno ad altissime pressioni alcuni ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste hanno sviluppato un nuovo modello di simulazione, e i risultati di questo “esperimento al computer” si sono rivelati per lo più inaspettati. La ricerca è stata da poco pubblicata su Nature Communications a firma di Guglielmo Mazzola, Seiji Yunok e Sandro Sorella.
Il codice della simulazione ideata alla SISSA è bastato sul cosiddetto Monte Carlo quantistico (Quantum Monte Carlo, QMC), una famiglia di algoritmi sfruttati solitamente per le simulazioni quantistiche ma utilizzati di norma per numeri piccoli di atomi. Il traguardo più importante raggiunto con il nuovo studio è invece proprio quello di aver potenziato questo tipo di algoritmo per ottenere una rappresentazione più fedele della realtà. “Siamo stati in grado per la prima volta di fare dinamica molecolare usando il QMC per sistemi realistici, di grossa taglia e con simulazioni perfettamente equilibrate”, racconta a Media INAF Guglielmo Mazzola, prima firma dell’articolo. “Queste nostre simulazioni uniscono il pregio di lavorare con sistemi grandi a quello di avere un metodo elettronico accurato capace di descrivere esplicitamente le correlazioni elettroniche importanti”.
Le basi per lo sviluppo di questo modello di simulazione sono state gettate dieci anni fa, e il codice è stato utilizzato anche per altre ricerche che sono servite a migliorarne l’efficienza. “Un fattore essenziale è stato poi la recente disponibilità del supercomputer K, in Giappone, che ci ha permesso di eseguire il codice al pieno delle sue potenzialità e di avere a disposizione le ore calcolo necessarie”, spiega Mazzola.
Il codice affidabile e accurato sembra esserci, quindi. Ma cosa ci ha rivelato di nuovo tutta questa potenza di calcolo? In poche parole, che siamo probabilmente ancora molto lontani dal riuscire a svelare sperimentalmente i meccanismi di metallizzazione dell’idrogeno: nella fase liquida, studiata in questa nuova ricerca, le molecole mostrano infatti una maggiore resistenza a questa transizione. Per innescare la metallizzazione ci vorrebbero pressioni che per ora possiamo solo sognare di raggiungere in laboratorio: se stando ai primissimi calcoli teorici di ottant’anni fa bastavano “solo” 25 Giga Pascal, secondo la nuova simulazione la transizione avverrebbe invece a pressioni vicine ai 500 Giga Pascal. Un risultato inaspettato, ma perfettamente plausibile. Se le nuove stime rivedono decisamente al rialzo le precedenti previsioni basate su simulazioni senza QMC, è vero anche che “storicamente questa ‘linea di transizione’ si è sempre spostata verso pressioni maggiori”, spiega Mazzola.
“Il nostro metodo può ora essere applicato sistematicamente per i diagrammi di fase di moltissime altre sostanze in modo accurato”, conclude Mazzola. Ricerche di questo tipo sono importanti non solo in astrofisica (per ricostruire le condizioni estreme in cui si trovano gli elementi chimici all’interno di stelle e pianeti), ma anche, per esempio, negli studi sui materiali superconduttori.
Fonte: Media INAF | Scritto da Matteo De Giuli