Quando la croazia doveva essere italiana

Creato il 22 novembre 2013 da Eurasia @eurasiarivista

La pace di Versailles assegnò all'Italia alcuni territori del confine orientale, che prima appartennero alla Slovenia e alla Croazia. Già nel 1918, ambienti politici e giornalistici vicino a Mussolini, per il tramite delle colonne de' "Il Popolo d'Italia" avevano dichiarato del tutto improponibile ogni concessione alle pretese territoriali slave a ridosso del confine orientale italiano. Giorgio Rumi scrive:

"Fin dal 1918, il "Popolo d'Italia"aveva dichiarato assurda e ingiustificata ogni concessione alle pretese slave in Adriatico".[1]

Mussolini non fa a meno di ricordare come la Jugoslavia nutrisse mire imperialistiche nell'alto Adriatico. Aggiunge Rumi, riportando le parole de' "Il Popolo d'Italia":

Ai "deliri di febbre imperialistica a quaranta gradi"del giovane Stato jugoslavo occorre rispondere con la forza". [...] "la coscienza nazionale italiana respinge tutti gli imperialismi, tutti nessuno escluso [...] mentre dell'imperialismo italiano - ipotetico - nessuno popolo ebbe a soffrire, siamo noi minacciati dall'imperialismo pazzesco di altri".[2]

A questo quadro interpretativo dell'assetto geopolitico si aggiungeva più tardi, l'analisi politica condotta a Belgrado dal Ministro Galli, sulla condizione di potenziale espansione territoriale. Con un telegramma espone il disegno politico della Jugoslavia al Capo del Governo, Mussolini, così descrivendo la futura carta dell'Europa centrale e balcanica:

"[...] 3) La Slovenia sarebbe incorporata nella repubblica austriaca così che il confine italo-austriaco si estenderebbe dall'Ortier fino a Fiume. [...] 5) La Croazia comprenderebbe, oltre alla Croazia propriamente detta, le seguenti regioni: Fiume, la Dalmazia sino alle bocche del Cattaro, l'Erzegovina, una buona parte della Bosnia, la Slavonia e Smirno. 6) la Serbia, oltre alle vecchie provincie, avrebbe il rimanente della Bosnia, il Montenegro, e la Macedonia greca. Tutta questa ricostruzione della carta dell'Europa centrale e balcanica ha valore - oltre che come prova che i croati pensano seriamente ad una separazione, anzi ad uno smembramento del regno di Serbia - perché in essa si rivela in modo palese la tendenza a favorire i tedeschi di Germania e di Austria, ed anche più limitatamente gli ungheresi".[3]

Sempre il Ministro Galli, faceva presente quelle che furono le paure che l'Italia ebbe durante lo svolgimento della prima guerra mondiale nei confronti degli appetiti territoriali del germanesimo austro-tedesco, del croatismo, e dello slavismo serbo. Il dispaccio metteva in risalto, allo stesso tempo, anche le aspettative, le attese piene di tante speranze, per la creazione di piani per una futura sistemazione dall'area balcanica, a favore della penetrazione dell'incipiente potenza politica ed economica italiana nei territori balcanici e dell'Europa Orientale. A tal riguardo, alla fine del sopracitato telegramma, ricordava che:

"[...] Il problema angoscioso che si è posto dinnanzi all'Italia dal 1915 - favorire il centralismo serbo con tutti i pericoli di una estensione balcanica o il croatismo con la tendenza però a riallacciarsi o prima o poi al germanesimo - permane ancora integro. La migliore via e la migliore soluzione è, se al momento della crisi risolutiva si giunga, aiutare lo smembramento di questo stato. Questo però dovrebbe avverarsi sotto il nostro controllo, così da condurre le future formazioni statali che venissero a formarsi nella nostra orbita, se non nel nostro completo dominio. La forza politica italiana è oggi ben diversa da quella che fu dal 1915 al 1922. E' oggi possibile immaginare un nostro deciso intervento che del punto dove si incontrano le tre grandi razze, italiana, tedesca e slava, faccia quella formazione statale indipendente, o politicamente connessa alla nostra, che costituisca in territorio non etnicamente italiano la più salda difesa del nostro [territorio] nazionale, sia la testa di ponte sicura della nostra penetrazione nel centro Europa cui la nostra energia crescente ci da ogni diritto".[4]

Le popolazioni slovene e croate, per effetto delle conseguenze del trattato, furono costrette a lasciare le proprie case in Friuli, per trasferirsi oltre il confine orientale italiano, in Slovenia e in Croazia. L'Italia si riprese, così, le sue terre irredente, il suo confine naturale.[5] In un primo momento, i governi che si erano succeduti in Italia avevano collaborato con i governi della regione balcanica e della Croazia. Il sentimento di avversione nei confronti degli abitanti delle terre slave oltre confine, costituisce anche un antico retaggio culturale risorgimentale, oltre che un retaggio fascista. Rumi, infatti ricorda che:

"I motivi dell'avversione per Belgrado si intrecciano: la convinzione della superiorità razziale e culturale, il retaggio del Risorgimento contro i più fedeli strumenti asburgici, la pretesa della sicurezza assoluta in Adriatico"[...] "il suo successo, il dominio dell'Adriatico sono solo il modesto contraltare della pingue messe economica e coloniale raccolta dagli Alleati".[6]

Il progetto di Mussolini fu quella di dominio dei Balcani e della Croazia; li avrebbe divisi fra di loro in tanti piccoli staterelli in contrasto fra loro in modo tale che, dopo si sarebbero lasciati docilmente dominare dall'Italia fascista. Mussolini voleva impedire che al confine orientale con l'Italia ci fosse una Jugoslavia forte.[7] Sul confine nord-orientale si manifestarono tensioni etnico-sociali che innescarono una forte conflittualità politica. Tutto ciò mise in atto un'alleanza fra squadre fasciste del Friuli Venezia Giulia e l'esercito regio.[8] La situazione si acutizzò fra il 1920 e il 1921, rinfocolata dal propagarsi degli effetti del biennio rosso, che vide opporsi masse di contadini e di operai contro proprietari terrieri e industriali. Il 13 luglio 1920 i fascisti assaltarono il consolato jugoslavo e la Casa del Popolo presso l'Hotel Balkan.[9] Negli anni '20 riaffiorò in Croazia sulla scena politica e nel tessuto sociale il nazionalismo. La figura più importante fu Ante Pavelić, che perseguì un'idea di nazionalismo radicale ed estremo. Nel 1933, durante una vista a Zagabria del re, egli cercò di attentare alla vita del monarca, ma senza riuscirci.[10] Frange terroristiche erano stanziate e abbondantemente finanziate dai fascisti italiani, lo stesso Pavelic̀ visse per dodici anni in Italia, spostandosi fra le regioni del nord e utilizzando nomi e documenti falsi fornitogli dalle autorità italiane. Allo stesso tempo, potè lavorare all'organizzazione dell'attività terroristica, all'arruolamento e addestramento paramilitare degli ustascia in Italia.[11]

2. Gli anni dei rapporti fra Italia, Jugoslavia e Croazia

La scena internazionale che nel settembre 1928 si delineò intorno alla Jugoslavia e alla Croazia fu molto complessa e variegata; era formata da molti attori stranieri e dai loro referenti nella Jugoslavia. In codesto contesto evidenziamo, in prima battuta, le attese della Francia nei confronti del regno balcanico dei Karadjordjevic̀. Referente della Francia in Jugoslavia era Pribicevic̀, che ebbe il compito di alimentare una campagna di stampa filo-francese, dove si enucleavano i fondamenti "democratico-massonici" del futuro Stato, che avrebbe dovuto riunire tutti gli slavi del sud in una repubblica. In un simile contesto, l'Italia aumentò la propria attenzione nei riguardi dell'evoluzione politico-diplomatica jugoslava e croata. Il Ministro Galli, in un telegramma per corriere del 25 settembre 1928, inviato al Capo del Governo e ministro degli Esteri, Mussolini, così scriveva:

"Il Pribicevic̀ seguita a dare delle giornaliere dichiarazioni alla stampa. [...] Appare sempre più sintomatico il fatto che egli mantiene una costante linea d'attacco verso l'Italia, congiunta al solito ritornello di una necessità di una unione jugoslavo-bulgara. [...] Dichiara per l'ennesima volta che l'Italia sta stringendo un cerchio di ferro intorno alla Jugoslavia e per romperlo occorre l'unione colla Bulgaria. "Colla Bulgaria diverremo una grande potenza capace di una politica estera d'indipendenza, capace di realizzare pienamente il principio: I Balcani ai popoli balcanici". [...] Il fenomeno Pribicevic̀ è poi da tenere in seria considerazione, non tanto per il valore intrinseco dell'uomo, quanto perché le sue idee sono perfettamente inquadrate nelle direttive della crociata massonico-democratica che muove da Parigi alla conquista dei Balcani".[12]

Inoltre, il diplomatico metteva in evidenza come i contrasti con l'Italia si stessero palesando con una dura campagna di stampa. I giornali jugoslavi attaccavano ripetutamente l'Italia per il trattamento che il regime fascista metteva in atto contro le minoranze slave in Italia. Come il Ministro Galli riportò a Mussolini in un suo telegramma:

"[...]. La campagna che conduce lo Slovenec [ giornale di Lubiana pubblicato il giorno 3 corrente col titolo Non tradiremo la Nazione ] con tono aspro e con intendimenti così minacciosi è fondata sul trattamento fatto alle minoranze slave nelle nuove provincie italiane. Essa investe quindi uno dei lati più importanti della nostra politica interna con inevitabili ripercussioni sulla politica estera".[13]

L'Italia avvertiva la delicatezza della questione dei propri rapporti con Jugoslavia e Croazia. Nel 1928, l'incaricato d'affari a Belgrado, Petrucci, scrisse in un telegramma a Mussolini che:

"i separatisti e parte della stampa croata hanno avanzato la supposizione che a Belgrado si pensi ormai che la Jugoslavia "è matura per la separazione". Nel documento si aggiungeva che gli sforzi fatti da Belgrado per separare Pribicevich [ sic] dai croati non erano diretti a indebolire questi ultimi e ad indurli a più miti consigli, ma piuttosto, affinchè "i serbi che restano sotto i croati, sollevino clamore e diano delle prove a Belgrado che la Serbia, con larghezze di vedute, ha lasciato ai croati più di quello che occorreva [...] I serbi popolo fiero, guerriero, pervicace, nella sua bellica prepotenza, atavicamente predisposto alla lotta ed al depredare, non si lascerà sfuggire con un semplice tratto di penna le ricche regioni croate, da cui ha munto finora tanto denaro".[14]

Nel novembre del 1928, Galli telegrafò a Mussolini facendo presente al Capo del Governo, come il finanziamento diretto dei separatisti croati, se conosciuto dalla popolazione avrebbe potuto scatenare una risposta opposta a quella di collaborazione sperata. Nel suo telegramma Galli scriveva:

"[...] La conoscenza di aiuti concreti, specie di denaro, da parte di V. E. ai separatisti croati, potrebbe produrre in tutta la Croazia una singolare reazione ad un improvviso movimento assolutamente opposto alle finalità che si propone di raggiungere. [...] Il Governo di Belgrado cerca sicuramente avere ogni possibile prova relativa ai nostri contatti con i croati, forse le possiede già [...] ".[15]

Ciò che stava a cuore alla diplomazia fascista era di garantire il mantenimento di un rapporto privilegiato con i governi della regione balcanica. A tal proposito, il Console Generale a Zagabria nel dicembre del 1928, riferì a Mussolini, che in caso di guerra i soldati croati non avrebbero marciato contro l'Italia:

"Circa un mese fa è stato a Zagabria un inviato speciale del giornale parigino l' "Ami du peuple" ed intervistò l'on. Macek [ capo del partito radico-democratico, già partito dei contadini croati ]. Tra le altre cose gli domandò se, in caso di guerra contro l'Italia, i croati marcerebbero contro gli italiani. Macek gli rispose: "Neanche un soldato croato si batterebbe contro l'Italia"".[16]

Il problema delle relazioni italo-jugoslave fu affrontato apertamente nel gennaio del 1930 in un incontro fra il Ministro degli Esteri italiano, Grandi e il Ministro della real casa di Re Alessandro, Jeftic. Lo statista sostenne che:

"i serbi erano, "specialmente da tre anni a questa parte, lo strumento provocatore della Francia [...] Sul principio Jeftic ha cercato di replicare dicendo che la Serbia è un'amica, non un'alleata della Francia. Ma poi ha dichiarato: "Ebbene, perché negarlo? La Jugoslavia è strettamente legata con la Francia. Noi ci armiamo, è anche vero. Ma tutto questo perché abbiamo paura di voi. Voi pure vi armate; la vostra politica è la politica di una grande potenza che cerca nuove strade, nuovi sbocchi, contro di noi che siamo i più vicini e i più piccoli. Noi non abbiamo, e non vogliamo avere, interessi mediterranei, e ci accontentiamo della mediocre situazione che abbiamo in Adriatico".[17]

Re Alessandro di Jugoslavia, nel gennaio 1933, non scartò nemmeno l'idea che in primavera sarebbe potuta scoppiare una guerra contro l'Italia. Secondo quanto riferì Galli a Mussolini:

"[...] Le dichiarazioni attribuite a Re Alessandro sembrano corrispondere grossomodo a quelle che questo Sovrano va costantemente facendo da qualche tempo a questa parte al suo entourage, ed i ministri stranieri con i quali è in contatto".[18]

Ancora una volta un giornale francese il "Petit Parisienne"nel febbraio 1933, intervistò il capo del partito radicale croato dott. Maček, chiedendogli se in caso di guerra i croati si fossero schierati contro l'Italia. La risposta palesò, che i croati non avrebbero combattuto contro gli italiani. L'intervista fu riportata sul telegramma che il Console Generale a Zagabria Umiltà, inviò a Mussolini. Il Console scriveva che:

"questa opposizione mi ha fatto sapere che essa crede la causa ultima dell'internamento del dott. Macek , sia stato l'articolo comparso nel Petit Parisienne, in cui era riprodotta l'intervista, il giornalista ha ricevuto anche il compito da parte della commissione parlamentare agli Esteri di Parigi, di domandare direttamente al dott. Macek quale sarebbe stato l'atteggiamento dei croati in caso di guerra. [...] Certamente il 90% dei croati non avrebbe combattuto contro l'Italia e che la Francia in nessun caso avrebbe potuto fare assegnamento sulla collaborazione dei croati, per mantenere un regime che essi combattono ad oltranza".[19]

Emergeva da tali affermazioni che la Croazia non intendeva dichiarare guerra all'Italia, nonostante la Jugoslavia avesse teso con la Francia una fitta rete di relazioni internazionali, che sembravano volte all'ottenimento di un patto di alleanza militare contro l'Italia in caso di guerra. Mussolini ancora non disponeva della forza militare ed economica che gli avrebbe permesso di dare inizio a una guerra con la Jugoslavia. Un altro valido motivo era rappresentato dal fatto che il regno slavo in quegli anni, stava manifestando, palesemente, evidenti intenzioni di entrare a far parte dell'orbita d'influenza geo-politica della Germania. Non potendo stipulare accordi politici, Italia e Jugoslavia intavolarono accordi economici, ma da qui a poco, anche nel campo degli accordi economici, sorsero numerose e insormontabili difficoltà. Si ebbero vistose sperequazioni di trattamento che gli accordi avrebbero sancito a discapito della Jugoslavia e a favore della Croazia, come si può evincere dal telegramma dell'aprile 1933 inviato da Galli a Mussolini:

"[...] Io credo tuttavia che se non possiamo realizzare l'accordo politico, possiamo però venire ad una conclusione su tutte le altre molte questioni commerciali, economiche, agrarie, ecc. ecc. che sono già avviate ad una soluzione o la attendono [...] ".[20]

Qualche giorno dopo, il Sottosegretario italiano agli Esteri, Suvich, inviò un telegramma al console generale a Zagabria, Umiltà, in cui fece presente a quest'ultimo, come fosse impossibile in quel momento, per l'Italia concedere un prestito alla Croazia sia per l'enormità della somma richiesta, sia perché, se le autorità serbe lo fossero venute a sapere, si sarebbero sicuramente opposte. Suvich scrisse che:

"[...] la preoccupazione infatti dei dirigenti centrali dell'Istituto è che, a parte l'anormalità dell'operazione del genere di immobilizzo evidente per una Banca, essa non potrebbe anche, se fatta indirettamente, non essere nota, e non attirare verso la "Croata" [ sic] l'ostilità aperta delle autorità serbe, con conseguenze incalcolabili per la compagine stessa dell'ente [...] ".[21]

Nel marzo del 1934 accadde una svolta decisa nella politica estera della Jugoslavia: essa decise di avvicinarsi politicamente alla Germania di Hitler. Di fronte a tale scelta, Galli scrisse a Mussolini:

"[...] La Germania cerca e può trovare per adesso a Belgrado un comune terreno di discussione politica per questioni che possono sembrare, o sono di comune interesse o dove gli sforzi politici dei due paesi possono trovare una coincidenza [...] ".[22]

Come si può dedurre dai documenti, il ruolo disgregante che l'Italia stava tenendo nei confronti della Jugoslavia, si palesò nelle questioni riguardanti i rifugiati croati della Jugoslavia. Il Ministro jugoslavo Dudić, in un colloquio con Galli, nel maggio 1934, introdusse l'argomento. Egli sostenne che i rifugiati croati in Italia erano da essa armati e finanziati, e che preparavano atti criminali da eseguire in Jugoslavia. Nel suo appunto Galli affermò:

"Il ministro di Jugoslavia prosegue in tono molto eccitato parlando della difficoltà della sua missione anche per la presenza in Italia dei rifugiati croati che sono sussidiati, armati, che fanno esercitazioni militari e che preparano atti criminali da eseguire in Jugoslavia [...]. Rispondo al Ministro che le sue affermazioni sono parto di fantasia. Noi, evidentemente, non possiamo non dare asilo ai rifugiati politici di Jugoslavia; non è un fatto che ci riguarda se una parte della popolazione jugoslava crede di mettersi contro il proprio Governo ".[23]

L'addetto stampa a Vienna, Morreale, illustrò la situazione politica in Croazia relativamente alla condizione in cui si trovava il movimento separatista, in un appunto stilato il 27 settembre 1929. Evidenziando l'attenzione diplomatica italiana nella questione, egli sostiene:

"Ho avuto negli scorsi giorni occasione di incontrarmi col dott. Krjevoc, segretario generale del partito croato dei contadini, rifugiatosi anche egli a Vienna. Dalla sua conversazione non ho apresso gran che di particolarmente interessante nei riguardi dell'attuale situazione interna in Croazia: un punto su cui Krjevoc insiste molto è l'assoluta preparazione morale e materiale dei contadini croati alla rivolta. Egli afferma che l'organizzazione dei collegamenti è ottima e che si dura fatica ad infrenare [ sic] lo spirito di ribellione dei contadini: questi hanno nei capi la massima fiducia, non è però da escludersi che i tentennamenti dei capi possano a lungo andare scuoterla, e perciò Krjevoc è del parere che non si debba tardare oltre la fine dell'autunno od il principio d'inverno un eventuale tentativo [...] ".[24]

A testimonianza dell'interesse italiano nella vicenda jugoslava, è da mettere in risalto quanto scriveva Dino Grandi a Mussolini già nell'ottobre del 1929, nel periodo precedente l'inizio della crisi che avrebbe portato allo scontro nell'area balcanica. Il Ministro degli Esteri, in un appunto posto all'attenzione di Mussolini, stilava una nota in cui enumerava minuziosamente quanto l'Italia aveva inviato ai croati:

"1) Appunto dell'incaricato "Servizio Segreto Croati" circa forniture armi ( pistole e munizioni ) ai Croati per un totale di 400.000 circa. A Pavelić è stato già comunicato benestare. Colle 120.000 inviate a Macek l'altro giorno, siamo già a oltre mezzo milione, ossia ho esaurito ( anzi passo deficit ) le attuali disposizioni del fondo speciale Croazia, che è alimentato, come il Capo del Governo sa, dalla Polizia a 70.000 mensili [...] 2) Rapporto Forges. E' interessante come il Capo del Governo vedrà. Io non condivido che in parte l'ottimismo rivoluzionario dei due fiduciari dell'insurrezione croata Pavelic e Trumbic. Non siamo ancora vicini alla fase risolutiva del movimento croato [...]".[25]

Le parole di Grandi assumono un significato pregnante se confrontate con quanto egli scriveva alcuni giorni prima. Il 6 ottobre, Grandi aveva mandato un appunto segreto con il suo visto agli "Uffici", firmato V. M. ( con ogni probabilità Vittorio Mazzotti ). In esso si poteva dedurre come Pavelić e Trumbic stessero ricevendo proposte da parte di Re Alessandro di Jugoslavia per una soluzione pacifica della questione croata:

"[...] Secondo il Sarkotic, non sarebbe difficile che Re Alessandro in un tempo prossimo, tentasse di risolvere direttamente la spinosa questione che dilania lo stato SHS, [...] il re vorrebbe venire fuori a ogni costo, trattando direttamente col partito croato. A quanto sembra sarebbe disposto di arrivare a qualsiasi compromesso purchè resti nell'ambito della Costituzione [...] ".[26]

Era evidente che Trumbic avesse intenzione di spingere Francia e Gran Bretagna a far accettare a Re Alessandro le trasformazioni di regime beneaccette ai croati. Trumbic voleva raggiungere la separazione della Croazia dalla Jugoslavia in modo pacifico, al fine di evitare una guerra. La posizione di Trumbic non incontrava il favore di Pavelić, che rimase scettico e non si scostò dall'abbraccio col regime fascista. Di ciò rese conto il corrispondente della stampa da Vienna, Zingarelli, a Mussolini:

"[...] Il viaggio in Europa dell'ex ministro degli Esteri jugoslavo dottor Trumbic non è stato approvato da tutti i capi dell'opposizione croata [...]. Ante Pavelić e i suoi amici di oltre frontiera hanno giudicato il viaggio inutile, anche perché Trumbic s'è recato soltanto a Parigi e a Londra. Trumbic ha ugualmente messo in atto il suo proposito, dicendosi convinto dell'interesse che Inghilterra e Francia debbono avere a spingere Belgrado verso le trasformazioni di regime alle quali i croati aspirano. Secondo Trumbic, se la Francia vuole, Re Alessandro - che ha tenuto a trovarsi in Francia assieme a lui - si convertirà al federalismo. Ante Pavelić e i suoi sono di contrario avviso e prevedono che Trumbic ritornerà a mani vuote [...] ".[27]

Ciò che preoccupava maggiormente le autorità italiane era che la presenza di Pavelić sul territorio nazionale avrebbe potuto imbarazzare Roma, in quanto le cancellerie europee avrebbero potuto credere ad un coinvolgimento fascista nella crisi interna jugoslava. Il Ministro Galli riferì in tal senso di un colloquio dal quale era emersa l'avvenuta conoscenza dell'esistenza degli ustasci in Italia e in Ungheria, da parte delle autorità jugoslave. Detto colloquio, avuto con il Ministro jugoslavo Purić, è riferito in un telegramma spedito al Sottosegretario agli Esteri italiano, Suvich:

"[...] La sostanza di quanto mi ha detto Puric [ sic] è questa: il Governo jugoslavo saprebbe che vi sono in Italia circa 1000 croati organizzati come ustasci, vestiti, pagati, armati con fondi pubblici. Che dopo il mancato attentato di Zagabria gli ustasci sono stati spostati da Bardi, Borgataro etc. tre volte. Non ha detto la località, e non ho compreso bene se si tratti di ripartizioni in tre diversi luoghi. La Jugoslavia è in costante contatto, e sorveglianza di questi gruppi e ne conosce minutamente e quotidianamente i movimenti e l'attività. Ciò essa ha fatto anche in Ungheria quanto al campo di Jaka Puŝta. [...] La conclusione che egli ne trae è che fin quando esisteranno organizzazioni croate da noi aiutate etc. etc. sarà impossibile parlare serenamente, sarà impossibile esigere che la stampa jugoslava tenga conto diverso da quello che tiene, sarò impossibile aspirare ad un rasserenamento qualsiasi dei rapporti fra i due Stati. Occorre distruggere ogni speranza di aiuto armato ai croati, far dimenticare che Re Alessandro avrebbe potuto anche essere ucciso [...] ".[28]

Nell'ottobre del 1934 fu assassinato Re Alessandro Pavelić portò a compimento il suo intento, che era quello di eliminare il re di Jugoslavia. Il giornale francese "Petit Parisienne"scrisse, nell'articolo del 3 ottobre, che l'assassino del re jugoslavo era Pavelić, anche se poi le autorità francesi operarono sul giornale una censura che eliminò le affermazioni. In tale frangente, il Console a Parigi, Landini, inviò a Roma gli umori del governo francese, nel suo telegramma al Sottosegretario alla stampa e alla propaganda, Ciano:

"Ho sotto gli occhi le bozze originali della corrispondenza telefonata da Ginevra dell'inviato del Petit Parisienne (Du Bochet) al suo giornale, circa indagini sul complotto contro Re Alessandro. Confrontandole col testo pubblicato (veda Petit Parisienne stamani, 13 corr.) in prima pagina, trovo soppresse le parti che alludono all'Italia. Infatti, nella 5° colonna, subito dopo la fotografia, costato la soppressione (dopo "Kelemen lui même") delle parole: "Tous deux arrivaient en droite ligne d'Italie, où ils avaient quietté Pavelitich, qui a sa résidence habituelle à Milan". Sempre nella stessa colonna, alla riga 31, trovo soppresse le parole"et d'Italie", dopo le parole "de Hongrie". Questa censura è stata fatta sicuramente per ordine superiore e significa che la Francia, oggi, non vuole storie contro l'Italia ".[29]

Il 20 ottobre 1934 Pavelic̀ venne arrestato a Torino. In quell'occasione, il Ministro Galli scrisse a Mussolini, cercando di stornare le responsabilità politiche all'Ungheria:

"[...] Le accuse che vanno a queste responsabilità "internazionali" si debbono intendere per ora prevalentemente rivolte all'Ungheria. Se si vocifera di responsabilità o quanto meno di tolleranza italiana, il desiderio generale nei circoli politici dirigenti (da distinguere dal possibile atteggiamento stampa) è quello di lasciare per quanto possibile in disparte il nostro paese almeno fin a quando non dovessero risultare prove inoppugnabili e lampanti. La notizia dell'arresto a Torino di Pavelic̀ e di Kvatenik è in ogni caso arrivata assai tempestivamente, ed ha fatto buona impressione. Ora si esprime il desiderio che l'inchiesta italiana arrivi in fondo, anzi si affaccia l'ipotesi che il Pavelić possa essere estradato alla Francia quale organizzatore del regicidio (1), sulla base di una convenzione internazionale che escluderebbe dai reati politici per i quali l'estradizione non è ammessa. [...] ".[30]

Nonostante il divieto legale opposto dall'Italia, il Ministro jugoslavo Dudic̀ chiese l'estradizione di Pavelić, e al contempo proclamava la responsabilità diretta del fatto di sangue, all'Italia, che a suo dire - e di questo se ne riteneva assolutamente certo - era sicuramente implicata nell'organizzazione, nella preparazione dei terroristi croati e dello stesso Pavelić. Il Sottosegretario italiano Suvich rispose definitivamente di no a tale richiesta. Come scrisse in un suo appunto:

"Il Ministro di Jugoslavia mi parla poi - premettendo di non avere nessun incaricato ufficiale - della estradizione di Pavelić e di Kvaternik, chiedendo a che punto stiano le pratiche. Gli rispondono che la cosa è demandata al parere della Corte di Appello di Torino. Mi chiede l'opinione del governo al riguardo. Gli dico che il governo non può che attendere quello che sarà il responso del dicastero competente. Ho avuto già occasione di dirgli nel precedente nostro incontro la mia opinione personale che è quella che una estradizione nel caso in oggetto non sia possibile [...] Il Ministro Dudic̀ che tutto era organizzato da lunga mano e che nei campi di concentramento si è fatta scuola di terrorismo [...]. Il Ministro dice che, se come tutto sembra indicare è effettivamente il Pavelić l'organizzatore dell'eccidio, si deve ritenere che lo stesso sia stato organizzato in Italia [...] ". [31]

3. L'invasione e la dichiarazione d'indipendenza della Croazia

Nell'agosto del 1939, si tentò di concludere un accordo tra Serbia e Croazia, al fine di evitare uno scontro diretto; lo annunciò il Ministro a Belgrado, Indelli, al Ministro degli Esteri, Ciano, nel telespresso datato 21 agosto 1939:

"[...] Secondo notizia proveniente da Belgrado, data da un membro del Governo, l'accordo con i croati sarebbe praticamente concluso e l'annunzio al Paese ne dovrebbe esser dato prossimamente [...] Il News Cronicle ha pubblicato delle presunte dichiarazioni concesse e quindi, secondo il costume locale, immediatamente, smentite, dal Presidente del Consiglio Maček. Quest'ultimo ha detto che se un accordo non fosse intervenuto all'ultimo momento i croati sarebbero stati costretti a seguire il proprio cammino, e che, in caso di guerra, ad essi non sarebbe rimasta altra possibilità che prendere un atteggiamento diametralmente opposto a quello di Belgrado [...] ".[32]

Il 23 gennaio 1940 si svolse un colloquio del Ministro degli Esteri, Ciano, con Pavelić. In questo incontro si stabilirono le linee generali, che dovevano organizzare e dare il via prima al movimento insurrezionale separatista croato, e dopo a un appoggio militare diretto italiano, in terra jugoslava. Si stabilì un piano di insurrezione e di invasione, segnando date, luoghi, e modalità di svolgimento delle operazioni militari e paramilitari del movimento rivoluzionario croato. Vennero decisi il numero delle truppe italiane e i tempi. Pavelić scalpita e voleva dare inizio alla rivolta in tempi molto brevi. Egli indicava anche un Capo del Governo designato che avrebbe coolaborato con Roma. Pavelić fece presente a Ciano, che ormai la macchina organizzativa e la macchina bellica sono pronte a mettersi in moto. Ma Ciano temporeggiava, aspettando tempi più propizi per l'Italia, che vedeva la sua politica di aggressione alla Croazia, ancora invisa alle Cancellerie europee. Suggeriva di aspettare, che prima si calmassero un po' le acque a livello internazionale. Qui di seguito riportiamo, il verbale per l'importanza delle notizie in esso contenute:

"Il Conte Ciano, che si è incontrato il 23 gennaio 1940 col dott. Pavelić, presenti il Marchese Bombelles ed Anfuso, gli ha posto dettagliati quesiti sulle possibilità di insurrezione in Croazia, sulla estensione del movimento, sugli intendimenti del dott. Pavelić circa la forma di Governo che potrà essere conferita alla Croazia e pure sulle prevedibili reazioni da parte serba di fronte alla progettata spedizione croata. Pavelić si è detto sicuro della riuscita della insurrezione, ha confermato la necessità che le truppe italiane, nella misura di circa 30 mila uomini, entrino in Croazia non appena si manifesti la rivolta a Zagabria, nei minori centri urbani e nelle campagne ed ha soggiunto che il determinarsi di una tale situazione non consentirà ai Serbi che una ritirata verso i territori dell'antico Regno di Serbia. Con l'inizio della insurrezione, Pavelić vede finalmente manifestarsi la completa dissoluzione dell'organismo jugoslavo così come è sorto dai Trattati del '19. Egli pensa che sarà necessario per non affrettare questo processo di decomposizione conducendo le truppe italiane a Belgrado per instauravi il Governo, possibilmente quello di Stojadinović, che tratti con l'Italia e stabilisca le nuove frontiere con la Serbia. [...] Circa le sorti della Slovenia, Pavelić si dice d'accordo col Conte Ciano circa la necessità per quella regione di adattarsi al nuovo regime che il popolo croato stabilirà, insieme con l'Italia. Necessaria all'economia della Croazia, non potrà fare a meno di assoggettarsi allo stato delle cose che imporrà l'Italia. [...] Il Conte Ciano fissa con Pavelić i tempi del movimento insurrezionalista ed approva la tattica finora seguita dai nazi-fascisti croati raccomandando peraltro a Pavelić di non affrettare l'azione per evidenti ragioni di carattere internazionale e di attendere in ogni caso il "via" da Roma evitando che il movimento si inizi prematuramente. [...] ".[33]

Il 2 aprile 1941 Pavelić, manifestò l'intenzione di iniziare le emissioni radio per fomentare e successivamente appoggiare l'azione rivoluzionaria. A tal proposito, così scrisse Anfuso:

"Il Dott. Pavelić desidererebbe iniziare le radio-emissioni clandestine previste per fomentare e successivamente appoggiare l'azione rivoluzionaria in Croazia [...] ".[34]

Sempre il 2 aprile, l'Ispettore Generale alla Pubblica Sicurezza, Conti, scrisse ad Anfuso:

"Il Dott. Pavelić mi ha incaricato di riferirVI: 1) Che riterrebbe che i due manifestini con le fotografie fossero al più presto lanciati da aeroplani su Zagabria. Egli da parte sua curerà nel miglior modo possibile l'introduzione e la distribuzione in Croazia di quelli mandatigli [...] ".[35]

In prossimità dell'azione militare congiunta italo-tedesca in Jugoslavia, la diplomazia fascista si preoccupò di "rassicurare" Mosca per non doversi impegnare su un altro fronte che oltre ad allargare ad Est il conflitto in corso, avrebbe, di fatto, messo a repentaglio la riuscita dell'azione politico-diplomatica nei Balcani. A tal riguardo il 6 aprile 1941, l'ambasciatore a Mosca, Rosso comunicò al Ministero degli Esteri italiano, che il suo omologo tedesco Schulenburg a Mosca, aveva riferito al Ministro degli Esteri sovietico Molotov l'entrata in guerra della Germania contro la Jugoslavia:

"Schulenburg mi ha informato che ha visto Molotov ieri sera. Scopo della sua visita era soltanto quello di fare al Governo sovietico comunicazione ufficiale dell'entrata in guerra della Germania contro la Jugoslavia [...] ".[36]

Mosca rimase in silenzio di fronte all'azione italo-tedesca e l'11 aprile 1941, il senatore Salata scrisse un appunto al Capo del Gabinetto, Anfuso, nel quale annunciava:

"Ho creduto doveroso da parte mia esporre nell'unito appunto alcune considerazioni sullo Stato indipendente di Croazia con riguardo ai nostri interessi e diritti adriatici e dalmati. Ti sarei grato se volessi sottoporre l'appunto al Duce [...] La proclamazione dello Stato indipendente di Croazia, avvenuta ieri, pone in rilievo l'urgenza di evitare che sia recato pregiudizio negli atti costitutivi dello Stato stesso, alla posizione speciale del Regno di Dalmazia e agli interessi d'Italia nell'Adriatico. [...] ".[37]

Riportiamo qui di seguito il telegramma di Pavelić, Capo dello Stato Croato, al Capo del Governo Mussolini, Zagabria 14 aprile 1941, ore 11:

"Come Capo dello Stato croato dal popolo croato aspirato ed eletto mi permetto di comunicare molto devotamente a V. E., Duce dell'Impero italiano, che oggi ho proclamato al popolo croato la Croazia come Stato indipendente [...]".[38]

Mussolini non tarda a dare risposta al dispaccio di Pavelić e lo stesso giorno nella mattinata, inviava un telegramma di risposta al Capo dello Stato Croato, nel quale ufficialmente manifesta la decisione dell'Italia di riconoscere il nuovo Stato di Croazia indipendente. Il Capo del Governo italiano aggiunge alla fine del messaggio, anche un riferimento alla rideterminazione dei confini nazionali italiani, in relazione alla nuova geografia politica, che si è appena ridisegnata con la neo proclamazione dello Stato di Croazia. Mussolini così scrive:

"Ho ricevuto il telegramma (2) con il quale, giusta la volontà del Popolo Croato, mi rendete nota la proclamazione dello Stato indipendente di Croazia e mi chiedete il riconoscimento della Croazia indipendente da parte dell'Italia Fascista. Saluto con grande soddisfazione la nuova Croazia che riacquista la libertà lungamente agognata, oggi che le Potenze dell'Asse l'artificiosa costruzione jugoslava. Mi è gradito esprimerVi il riconoscimento dello Stato indipendente della Croazia da parte del Governo Fascista, che sarà lieto di intendersi liberamente col Governo Nazionale Croato per la determinazione dei confini del nuovo Stato, a cui il Popolo italiano augura ogni fortuna".[39]

Riportiamo qui di seguito il testo della Cronologia del riconoscimento dello Stato indipendente di Croazia, che abbraccia un arco temporale che va dall'11 Aprile al 15 dello stesso mese, da parte dell'Italia, e della Germania, in seguito all'invasione dello stato adriatico posta in essere dalle truppe naziste in aprile. Nella cronologia degli avvenimenti non si tralasciava, di porre in evidenza l'argomento della definizione, in un modo non più approssimativo, come si era fatto fino ad un recente passato. Questa volta, il lavoro di definizione dei confini della regione dell'Alto Adriatico, sarebbe stato fatto in una maniera più precisa e particolareggiata, in rapporto alle attese territoriali dell'Italia fascista. Ma la determinazione dei confini croati era fatta anche a favore di una tutela degli interessi tedeschi e di tutte le Potenze dell'Asse in quell'area geografica. A tal riguardo, così scrive il Segretario del Gabinetto, De Ferraris, al Ministro degli Esteri, Ciano:

"11 aprile - Le truppe tedesche entrano a Zagabria ei Genarale Kvaternik vi proclama lo Sato indipendente croato sotto la guida di Ante Pavelić.

12 aprile - Pavelić è ricevuto dal Duce, accompagnato da Anfuso. Anfuso sottopone al Duce un breve appunto preparato dal Gabinetto (2) nel quale si mette in rilievo che - benchè la questione dei confini di un eventuale Stato croato non era mai stata trattata a fondo nelle precedenti conversazioni con Pavelić - sta peraltro di fatto che le carte geografiche rimesse in varie occasioni dal Pavelić e le dichiarazioni propagandistiche da lui fate anche recentemente affermano chiaramente il diritto della Croazia sull'intero litorale dalmata, da Sussak alle Bocche di Cattaro. [...]

13 aprile - L'ambasciatore di Germania informa Anfuso alle ore 14 di essere in attesa di una importante comunicazione da fare al Duce da parte del Führer relativamente al riconoscimento dello Stato indipendente di Croazia sotto la guida di Ante Pavelić. Viene preparato al Gabinetto e all'Ufficio Politico un appunto (1) prospettante la necessità di stabilire chiaramente, nella formula di riconoscimento dello Stato croato che i confini del nuovo Stato verranno stabiliti ulteriormente d'accordo con le Potenze dell'Asse nonché l'urgenza di procedere senza ritardo all'occupazione delle isole e delle coste della Dalmazia, oltre che del Montenegro. Anfuso sottopone al Duce l'appunto antidetto [...] ".[40]

A questo punto si può concludere, asserendo che, nello scacchiere balcanico l'Italia subì la sua seconda vittoria mutilata. In relazione al fatto che, a entrare in Croazia per prime non furono le armi imperiali italiane, come agognato da Mussolini fin dal 1918, data della prima vittoria mutilata, ma sulle strade di Zagabria sfilarono per prime le insegne dei reparti nazisti. La Croazia entrò a far parte della sfera d'influenza nazista, come rivendicato dal tempo del Trattato di Versailles, dall'ideologia propagandata dalla corrente politico-culturale facente capo alla teoria del germanesimo. Ciò che il Capo del fascismo cercò con tutte le sue forze di evitare: tenere lontano la Croazia dagli appetiti espansionistici e dalle mire di annessione della Germania, cercò con tutte le sue forze di evitare, è accaduto. L'Italia dovette abbandonare, per sempre, ogni sogno egemonico in Croazia, e cosa ancor più riprovevole agli occhi del Duce del fascismo, dovette cederla, in cambio del favore delle armi tedesche alla Germania. Il Capo del Governo italiano dopo tanti sforzi compiuti in un considerevole numero di anni, dovette servire su un vassoio d'argento la Croazia a Hitler, in cambio però ottenne la disgregazione totale della tanto odiata minaccia rappresentata dall'esistenza oltre i confini orientali dell'Italia dello Stato di Jugoslavia.

[1] Cfr. Giorgio Rumi, Alle origini della politica estera fascista 1918/1923, Editori Laterza, Bari, 1968, p. 10.

[5] Cfr. Rolf Wörsdörfer, Il confine orientale Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 19

[6] Cfr. G. Rumi, Alle origini della politica, p. 10.

[10] Cfr. J. Pirjevic, Serbi, croati, sloveni storia di tre nazioni,Il Mulino, Bologna, 1995, p. 108.

[13] Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo del Governo e Ministro degli Esteri, 11 Ottobre 1928, in Ministero degli Affari Esteri italiano, D.D.I., 1928- 1929, settima serie,vol., VII, 1970, p. 31.

[18] Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo del Governo e Ministro degli Esteri, Mussolini, 13 Gennaio 1933, in Ministero degli Affari Esteri italiano, D.D.I., 1933, settima serie,vol., XIII, a cura di G. Carocci, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P. V., Roma, 1989, p. 32.

[21] Il Sottosegretario agli Esteri, Sucich, al Console a Zagabria, Umiltà, 6 Aprile 1933, in Ministero degli Affari Esteri italiano, D.D.I., settima serie, vol., XIII, 1989, p. 403.

[27] Il corrispondente della stampa di Vienna, Zingarelli, al Capo del Governo e Ministro degli Esteri, Mussolini, 12 Novembre 1929, in Ministero degli Affari Esteri italiano, 1928-1929, settima serie, vol., VII, 1970, p. 80.

[31] Colloquio fra il Sottosegretario agli Esteri, Suvich, e il Ministro di Jugoslavia a Roma, Dudić, 8 Novembre 1934, in Ministero degli Affari Esteri italiano, D.D.I., settima serie, vol., XV, 1990, pp. 130-131.

[39] Il Capo del Governo, Mussolini, al Capo dello Stato Croato, Pavelić, 14 Aprile 1941, in Ministero degli Affari Esteri italiano, D.D.I., nona serie, 1939-1943,vol., VI, a cura di G. Andrè, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V., Roma, 1986, pp. 845-846.

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