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Quando la Geopolitica parlava italiano

Creato il 13 gennaio 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Quando la Geopolitica parlava italiano

Negli anni ’30, dalla comune ispirazione rappresentata dalla geografia “biologica” di Friedrich Ratzel, sorsero in Germania, Francia e Inghilterra-USA tre scuole che oggi definiamo “geopolitiche” (sebbene solo i tedeschi e, in misura molto minore, i francesi utilizzassero tale termine). I principali rappresentanti delle tre scuole sono rispettivamente Karl Haushofer, Jacques Ancel e Halford John Mackinder; ognuna di esse aveva posizioni proprie e talvolta contrastanti.

Due geografi di Trieste, Ernesto Massi e Giorgio Roletto, raccolsero in Italia la sfida proveniente dal Nordeuropa e cercarono di traslare la geopolitica in Italia. E La geopolitica in Italia (1939-1942) è proprio il titolo dell’opera di Giulio Sinibaldi, pubblicata da Libreria Universitaria pochi anni fa, che racconta e spiega l’impresa intellettuale dei due geopolitici italiani e del loro mensile, Geopolitica (che uscì appunto dal 1939 al 1942).

Sinibaldi evidenzia come per Massi e Roletto non si trattasse semplicemente di portare la geopolitica in Italia, bensì di creare una geopolitica italiana: questo perché erano convinti che l’acritica accettazione di una scienza straniera (e di una per giunta eminentemente pratica come la geopolitica) avrebbe significato anche adottare la prospettiva di quei paesi. Lungi dunque dall’importare la Geopolitik di Haushofer – con cui pure i rapporti erano eccellenti, vista l’alleanza allora in vigore tra Italia e Germania – Massi e Roletto cercarono di declinare nazionalmente, alla luce della tradizione di studi e pensiero italiana, la Geopolitica.

Uno dei tratti principali della Geopolitica italiana fu la contrapposizione teorizzata tra il modo “latino” e quello “germanico” d’intendere lo Stato: il primo organizzatore e razionalizzatore (potremmo dire “istituzionale”), il secondo patrimonialista. Massi e Roletto ritenevano inoltre le geopolitiche tedesca e francese chiuse nei loro dogmatismi, la prima per giustificare l’espansione germanica e la seconda i confini mitteleuropei fissati a Versailles. I Tedeschi facevano così professione di determinismo geografico e i Francesi di possibilismo. Secondo i geopolitici italiani entrambi gli approcci dovevano concorrere alla nuova scienza, assieme però a un terzo elemento: “l’umanesimo geografico”. Con tale espressione s’intendeva la considerazione di quei fattori culturali e spirituali la cui valorizzazione si faceva risalire nella tradizione italiana.

Ovviamente, se i geopolitici tedeschi e francesi (e pure quelli anglosassoni) cercavano di consigliare e sostenere le politiche dei rispettivi governi, quelli italiani non furono da meno. L’appoggio politico del ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai fu anzi decisivo per la nascita della rivista. Ma la commistione tra scienza/cultura e fascismo non fu certo, in quell’epoca, un’esclusiva della Geopolitica. L’ISPI, ad esempio, è oggi (e a ragione) uno degli enti internazionalistici più prestigiosi d’Italia, malgrado affondi le sue radici nella milanese Scuola di Mistica Fascista.

Alla Geopolitica, però, che in quanto scienza nuova e poco definita era quella più fragile, toccò sorte peggiore e, accomunata al fascismo, fu messa al bando dopo la fine del Ventennio. Massi, Roletto e molti altri animatori di Geopolitica proseguirono la loro carriera accademica (alcuni, come Amintore Fanfani, anche politica), ma nessuno si occupò più della materia. Coltivata in maniera marginale da pochi accademici, come il professor Carlo Maria Santoro, e da ambienti neofascisti, la Geopolitica sarebbe tornata in auge in Italia, nei primi anni ’90, da sinistra, grazie all’ispirazione di Yves Lacoste e alla fondazione di LiMes da parte di Lucio Caracciolo.

Oggi la Geopolitica è completamente sdoganata e, anzi, il suo problema non è più la damnatio memoriae quanto la banalizzazione, come ho argomentato altrove. Questo studio di Giulio Sinibaldi è una lettura doverosa per tutti i cultori di Geopolitica, affinché la ricostruzione della materia tenga anche conto di quell’importante esperienza intellettuale – che non si può ridurre a un’azione politica strumentale ad usum delphini. La trattazione di Sinibaldi ci mostra anzi come, in parecchi tratti, la Geopolitica italiana fosse più moderna rispetto alle omologhe d’Oltralpe.


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