Quando la malattia è figlia d'arte: Antiviral (2012)

Da Silente

USA, colore, 108 minuti  Regia: Brandon Cronenberg  Sceneggiatura: Brandon Cronenberg 
Quando si nomina un figlio d’arte si è soliti rizzare le antenne, non tanto per l’attesa di vederlo alla prova quanto più per il timore che il babbo abbia forse aperto porte che dovevano rimanere chiuse, ma è sempre bello quando anche il pregiudizio più lontano e timido viene smentito, evento di certo abbastanza raro come di rara bellezza è l’esordio di Brandon Cronenberg. Dal papi il ragazzo ha ereditato l’amore per il disgusto armonioso, per il rigurgito poetico, per la scultura organica e carnosa, tanto che Antiviral sembra uscito dal miglior Cronenberg sr., quello di una volta, quello difficile e disturbante, quando ancora si sporcava le mani nella fantascienza e nell’horror e le sue carnografie meccaniche inondavano lo schermo di sangue.
Sottile, filosofico e provocatorio, Antiviral possiede quella progressione chirurgica, quella gestione minuziosa che ne enfatizza ogni aspetto, ogni dettaglio, studiati con un equilibrio che lascia basiti. La costruzione registica distorce e aliena nei primi piani silenziosi su volti afflitti, crucciati, pensierosi, tramortiti, mette a disagio nell’esplosione fotografica di bianco allucinante e doloroso, sparge eleganza nel muoversi con originalità durante i dialoghi, ed è quindi strumento perfetto per dare immagine a una storia sceneggiata con profonda attenzione, dove l’immersione nel contesto fantascientifico è totale sin dai primi minuti per essere poi svelato lentamente durante lo sviluppo. 
Un feticismo esasperato e malato porta i fan dei vip ad acquistare e a farsi iniettare le loro malattie, ma non solo, la realtà creata da Brandon Cronenberg mostra macellai che vendono disgustose fette di carne organica creata con cellule di artisti famosi, impianti cutanei di grandi star per personali piaceri sessuali, guerre mute tra multinazionali farmaceutiche che detengono i diritti sullo sfruttamento virale degli idoli della folla, il tutto esposto con una glacialità raffinata, implacabile e inquietante che cerca quel gusto nell’orrido che solo papà Cronenberg aveva saputo dare al cinema. Dai cottonfioc lunghi venti centimetri infilati nel naso all’aspetto tridimensionale dei virus, dalla carne organica esposta nella vetrina della macelleria alla ricostruzione cellulare di tessuti che crescono e vivono, ogni finezza colpisce stomaco e mente come un enorme carrozzone di freak capitanato dal bravissimo Caleb Landry Jones, appena 22enne, ma volto, movenze e tono vocale perfetti per il disagio evocato da Cronenberg jr.
Pellicola impressionante e stupefacente, si spera destinata a fare storia.  

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