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Quando la migliore offerta è una grande bellezza

Creato il 24 giugno 2013 da Postscriptum
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Il premio oscar Geoffrey Rush nei panni di Virgil Oldman ne La migliore offerta di Giuseppe Tornatore

Recentemente è scomparso uno dei caratteristi più bravi del piccolo e grande schermo, quel James Gandolfini in grado di cucirsi addosso con estrema bravura i panni del boss al limite della depressione Tony Soprano. Quello dell’attore caratterista è un lavoro davvero difficile, annullarsi completamente in un personaggio, farne propri i comportamenti, il modo di parlare e persino i pensieri: per questo motivo è difficilissimo trovare caratteristi davvero bravi, considerando che il trucco è non restare prigionieri dei personaggi che si interpretano.

In questo settore il mondo del cinema offre tantissimi esempi, basta pensare a Johnny Depp e ai suoi mille personaggi (anche se accomunati da alcune caratteristiche simili) a Jim Carrey e Al Pacino, senza dimenticare Geoffrey Rush e il nostro Toni Servillo. Gli ultimi due, in particolare, hanno vestito i panni di due personaggi molto controversi e profondi, protagonisti, a mio avviso, di due dei migliori film del 2013.

L’australiano Geoffrey Rush (Shakespeare in Love, il sarto di Panama, Pirati dei Caraibi, il discorso del re) ha recitato per il maestro Giuseppe Tornatore ne La migliore offerta (ne abbiamo parlato qui). Il film racconta la storia di un famoso banditore d’aste burbero e pieno di complessi, Virgil Oldman, che si trova ad affrontare una situazione che rifugge dai suoi schemi mentali: l’amore.

Virgil è un personaggio molto profondo e interessante, odia la mondanità e il contatto con tutto ciò che non sia arte, è un genio, sa riconoscere un artista promettente dalle sue prime opere, ma anche una sorta di imbroglione, infatti fa in modo di abbassare il valore di alcune opere per acquistarle lui stesso a poco prezzo. Nonostante la vita solitaria fatta di regolarità e comportamenti rigidi, egli è però anche un sentimentale. Ne è prova la stupenda collezione di ritratti di donna che custodisce gelosamente. Come spesso accade, perciò, quando si confronta con ciò che sfugge al suo controllo, che non può dirigere razionalmente, che deve gestire con le emozioni, Virgil va in confusione ed è costretto a compiere quel processo di cambiamento interiore che lo porta a rapportarsi in modo meno gelido e distaccato con le persone che lo circondano esponendosi così anche a pericoli che prima non avrebbe nemmeno preso in considerazione. La causa di tutto è la giovane ereditiera Claire Ibetson affetta da una gravissima forma di agorafobia.

Toni Servillo è Jep Gambaredella ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino

Toni Servillo è Jep Gambaredella ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino

Toni Servillo (Il Divo, La ragazza del lago, L’uomo in più, E’ stato il figlio, Gomorra) è forse il miglior caratterista italiano in attività.

Ne La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino (ne parliamo qui), l’attore napoletano interpreta l’eccentrico Jep Gambardella, uno scrittore e giornalista sessantenne che è ossessionato dalla mondanità tanto da non voler solo organizzare le più belle feste mai viste ma, di avere il potere di farle fallire. Un qualche tipo edulcorato, con le dovute proporzioni, di Jay Gatsby. Jep vive la sua ossessione nelle sfrenate notti in cui Roma si trasforma da culla della cultura e dell’arte a inferno dantesco di suoni, colori e perversioni. Jep però è costretto a fare i conti con le malinconie di un passato che si può solo accantonare per qualche tempo ma non cancellare del tutto: nel bilancio della sua fortunata vita egli è messo di fronte al contrasto tra la falsità dell’universo mondano in cui ha scelto di vivere e la verità taciuta di un amore del passato che non si è mai sopito tanto in lui quanto nell’altra persona, nonostante entrambi abbiano scelto percorsi di vita differenti.

Sia Virgil che Jep devono quindi compiere un viaggio interiore alla scoperta di qualcosa che, pur essendo stato sempre presente, è stato stravolto, trasformato, edulcorato per sfuggire ai dolori dell’anima e alle delusioni; entrambi hanno costruito un’armatura intorno a se stessi, una protezione fatta di gesti, pensieri e quotidianità rassicuranti nella loro ossessiva ripetitività: che sia una festa sul colle Aventino o un’asta a Londra, tanto Jep quanto Virgil sanno che quella non è altro che un surrogato della vita vera e dei sentimenti sinceri, lo sanno bene ma fanno finta che non sia così perché nonostante un aspetto esteriore che incute rispetto, che suscita credibilità e ammirazione, tutti e due sono fragili dentro.
Come un artista, o un artigiano, che si allontana dal suo lavoro per scorgere da un’angolazione migliore i piccoli errori che ha commesso , Jep e Virgil si guardano dall’esterno e si scoprono pieni di errori, inadatti a gestire l’amore, soprattutto.

L’amore in entrambi i film non è un surrogato mocciano del più sublime dei sentimenti, nè una riduzione a mero contatto carnale ma è una forza che provoca un cambiamento, una leva che mette in moto un meccanismo, un input che inizia un processo e trasforma un impenitente seduttore in un nostalgico scrittore e un bizzoso self-made man in un impacciato fidanzato.

Se mi è consentito aggiungere una critica personale, in questo caso siamo di fronte ad un eroismo che annulla in un colpo solo centinaia di super-eroi o idioti immaginari del genere: qui non ci sono superpoteri da gestire, persone da salvare, identità segrete da mantenere tali; qui siamo al cospetto di una delle fatiche più difficili, pericolose e dispendiose con cui un uomo possa avere a che fare: cambiare la natura del proprio essere.

E allora la migliore offerta in questa asta dei sentimenti è la grande bellezza che sta in questo cambiamento.

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