Sto pensando al perché questi 300 morti somali ed eritrei non fanno lo stesso effetto di 300 morti italiani o francesi o tedeschi (non lo fanno credetemi: ora fate l’esercizio di contare per quanto tempo questa notizia resterà in prima pagina, se reggerà fino a domani sera).
Sapete perché? Perché non ci sono parenti da invitare in tv, interviste da fare al parroco del Paese, alla maestra di scuola, al vicino di casa, alla moglie vedova, al padre distrutto. Non fanno spettacolo se non fosse per essere allineati per mezza giornata sulla banchina di un piccolo porto del mediterraneo che dovrebbe essere porto d’Europa e invece è il porto di una piccola comunità di mare solo per caso italiana. Solo mezzagiornata, prima della putrefazione.
Non è una morte televisiva, non c’è alcun racconto da ricostruire in plastica in prima serata.
Per quei pochi che conoscono cosa passa un eritreo in Eritrea e cosa attraversa prima di arrivare al mare e cosa accade all’imbarco e cosa accade in mare e cosa accade in vista sulla costa, non c’è reality show che possa competere con un’avventura così, di cui noi vediamo solo l’ultimo istante. Io l’ho sentito l’odore di quel viaggio, è un odore che non ha niente a che vedere con la sporcizia, sa solo di piscio e terrore e adrenalina.
Vediamo solo l’ultimo istante: l’arrivo. Vivi o morti. Spesso morti. Spesso vivi e da rispedire a casa dopo tutto quel viaggio. E’ che non lo vediamo. E se non lo vediamo non esiste. E basta, 300 morti eritrei non valgono 300 morti televisivi.