Sono giunto a una considerazione che non esiterei a indicare come definitiva poco fa, dopo essermi complimentato con un tizio che passeggiava con un cane tenuto da uno di quei guinzagli per il corpo equipaggiato con un lampeggiante per la nebbia, nonché colpito dalla presenza di un automobilista addormentato sulla sua utilitaria a un incrocio con il semaforo verde, per fortuna erano le sette meno un quarto della vigilia di Natale e non c’era tutto sto traffico in giro, e dopo aver visto una lepre in un parco di quella periferia milanese che ci consente di battere tutti i record di densità abitativa. Giuro, una lepre mi ha attraversato la strada – correvamo entrambi – e non ho fatto a meno di notare la coincidenza con il periodo festivo e con il fatto che poteva essere una buona idea per un secondo di carne al tradizionale pranzo del venticinque.
Comunque ho pensato che calcolando le combinazioni di mix di tutte parole di tutte le lingue, dialetti e idiomi esistenti sul nostro pianeta, unite a tutte le variabili di rappresentazione artistica di ogni tipo, a partire dalle possibilità di alternare accordi in sequenza e catene di note in melodia fino ai gradi di sfumatura di colori e intensità con cui un pennello dipinge una tela e i millimetri quadrati di ogni tipo di forma rappresentabile eccetera eccetera, insomma ci siamo capiti, e incrociando questi dati – una roba altro che da sistemi di grid computing – con la quantità di uomini e donne in vita sulla terra, il delta di crescita della popolazione mondiale e la granularità di diffusione degli strumenti di espressione, ecco sono pronto a scommettere che a partire dal 2050 non esisterà più alcuna probabilità produrre o creare qualcosa di originale, di mai visto, di mai sentito, di mai provato. Non dovreste essere così stupiti da questa affermazione perché già adesso siamo in piena era di riciclo contenutistico e di scopiazzature selvagge.
Ora, per me la cosa non costituisce un problema, considerate che nel 2050 – se sarò ancora vivo – avrò più di ottant’anni e magari mi sarò già liberato di qualunque velleità di fare lo scrittore o il musicista o la star del’Internet. Ma pensate ai nostri figli, perché se nel 2050 a differenza delle previsioni dei catastro-grillisti ce la passeremo più o meno come ora, saranno loro che subiranno tutte le conseguenze di una consolidata sterilità estetica. La mia proposta è quindi di iniziare da oggi a resettare certi classici, tutte le loro copie, tutte le citazioni e le rappresentazioni di cui si fa riferimento e di metterci tutti d’accordo affinché i bambini che nasceranno a partire dal primo gennaio prossimo non ne possano mai sentir parlare. Diamo una mano di bianco ai soffitti della Cappella Sistina, cancelliamo le registrazioni del White Album dei Beatles, smontiamo la Torre Eiffel e così via, in modo da allestire qualche spazio di manovra per le prossime generazioni. La sfida è vedere quanto tempo ci impiegheremo a ottenere qualcosa di tutto questo, un aspetto su cui sono in molti a manifestare uno spinto scetticismo. Non vorrei invece dare il via a un sentimento di panico diffuso, e come quando la gente svuota i supermercati nel timore dell’approssimarsi di un evento tragico speriamo che nessuno corra ad accaparrarsi tutto quel poco di bello che ci rimane da dare ai posteri. Io non sono tra questi, non ne sarei in grado, potete quindi annoverarmi tra quelli che invece non hanno problemi a lasciare la propria porzione di torta a chi ha più appetito.