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Quando nacque la 194 mi ricordo …..

Creato il 13 giugno 2012 da Sirinon @etpbooks

 

Era il 1974, febbraio, se ben ricordo. Quella mattina presto Milano, nei pressi di Brera, era deserta. Era domenica, il freddo era secco per fortuna ed il caffé preso in casa per quanto fatto con il consueto amore materno dalla mamma di lei, girava come un acido pestifero nello stomaco.

Avevamo 19 anni allora, entrambi.

I quindici giorni precedenti erano stati frenetici, convulsi, di mezze parole al telefono  e di quella improvvisa vacanza che mi presi, tanto che in casa dovetti inventare non so quale scusa per una settimana da passare a Milano lasciando studi e lavoro senza un apparente motivo.  Così come fu non poco bizzarro farmi vedere in famiglia da lei dove tuttavia erano da un annetto abituati alle mie scorribande quindicinali: se proprio deve essere, meglio che siano in casa ... già allora si diceva.

 

E quanto non avevamo né previsto né ipotizzato invece era accaduto, nonostante l’uso della pillola anticoncezionale.

 

Avevamo paura di essere spiati quella mattina, ci sentivamo oltre alla paura anche la colpa addosso, nei confronti delle famiglie soprattutto  ma anche verso noi stessi. In fondo i nostri ambienti e la nostra educazione profondamente cattolica anche se ampiamente messa in discussione, faceva sentire il suo peso. Ed a quel tempo non era poco, in assenza oltre tutto, di ogni e qualsiasi piccolo particolare che potesse farti sentire nel diritto, rispetto a quanto andavamo a fare.

Mi trovo oggi, a distanza di oltre 35 anni ancora a disagio nel dire “andavamo a fare”. Ne avevamo parlato certo, anche se non era stata una delle consuete disamine accalorate e svisceranti. Avvertivo una chiusura doppia. Come se, pur non volendo, mi si volesse in qualche modo escludere da quanto deciso, anche per proteggermi in fondo ma, fondamentalmente, per una reciproca impreparazione: la sua nel gestire una scelta, la mia nell'appropriarmene o nel rigettarla.

Camminavamo in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri. Pensieri che poi, i suoi almeno, non ho mai conosciuto fino in fondo. Non ne avremmo più parlato di quella mattinata. Per un tacito accordo.

Camminavamo in silenzio, tenendosi per mano, un passo dopo l’altro fino ad un anonimo e severo portone dal quale passammo. Ascensore. Entrammo, pagammo e dopo un’ora o poco più, uscimmo. Non era stato facile arrivare lì. E seppure era un ambiente anche molto ricercato, pulito, accogliente, ci sentivamo ladri, sporchi e corrotti, impauriti. Timorosi, sapendo che anche la più piccola difficoltà avrebbe potuto portare ad un disastro ancora maggiore.

Ed in fondo ci sentivamo quasi senza appello, senza nessuna giustificazione se non l’avere scelto. Una scelta in verità che io più che esprimere, avevo avallato. Mi sembrava non ci fosse il tempo di pensarci su, di valutare diversamente ed in quell’ultima mezz’ora, prima di salire, facevo appello a tutti i miei pensieri per vedere se vi fosse stato un appiglio, un qualcosa di non considerato che potesse trasformare quella decisione in un tragico errore. Ma forse era solo la voglia di trovare un cancello aperto per partecipare un poco di più ad una scelta che principalmente non poteva che essere sua: non se la sentiva. E di fronte a questo non c’era che scegliere o di esserle accanto o di esserle nemico, uno in più, anzi, l’unico che avrebbe invece potuto esserle amico e non farla sentire sola. Ma dovevo appropriarmi di quella scelta, non doveva essre una vicinanza costretta, che sarebbe risultata di estranea compassione e ci avrebbe poi, lasciato più lontani. Fu stringendole la mano che trovai la risposta.  Vivemmo con tutta l’ingenuità possibile quella esperienza che si rivelò terribile, anche se tutto, fisicamente almeno, era andato per il meglio.  Non eravamo preparati ad affrontare il problema al punto che oggi, in virtù dell’occasione che si è presentata per ricordare, mi sono anche domandato come avrebbe potuto essere la vita di entrambi se avessimo deciso diversamente.  E ciò non perché sia importante ottenere una risposta quanto a testimonianza di come i dubbi di allora fossero tali e tanti che hanno lasciato, a distanza di decenni, ancora lo spazio per la teorica valutazione di una scelta diversa.D’altronde gli appuntamenti segreti di quei giorni, le telefonate  in codice per arrivare attraverso organizzazioni che erano di fatto clandestine per giungere ad ottenere un’assistenza e ad effettuare l’intervento in condizioni che potessero almeno salvaguardare un poco la dignità, non avevano certo aiutato a trovare un conforto psicologico. Già, al tempo, era difficile affrontare l’aspetto chirurgico, figurarsi se quello psicologico veniva preso in esame. Le uniche furono alcune conoscenze di lei che cercarono di sopperire, ma tale era il loro credo e coinvolgimento politico che quegli incontri quasi facevano salire il disgusto per un insistente sentirsi preda di un meccanismo dove tu divenivi un paladino, un martire  e non qualcuno che cercava di compiere una scelta per la quale agognavi un confronto, una disamina aperta che potesse fugarti anche il più recondito dubbio.

Non fu inoltre facile vivere quella esperienza come uomo.  D’altronde quello ero (quasi) e sono e non posso raccontarvi che la mia.  Sarebbe riapparsa quella sensazione che  seppi poi essere una paura in fondo. Accadde quando invece aspettavo un figlio. Sembra strano ancora a qualcuno ma anche i padri “aspettano i figli”. E quella paura tornò: era la paura ancora una volta di trovarmi escluso da quanto stava e doveva accadere. Ed ancora una volta sapevo che avrei dovuto comprendere, vivere e avrei potuto sentire mia fino in fondo quella enorme esperienza solo attraverso la mia compagna, futura madre o già madre direi dal giorno del lieto annuncio della gravidanza, ma non per una constatazione etico-religiosa quanto per il fatto che aveva scelto di esserlo.  Avrei imparato poi ad essere padre o meglio, ne avrei avuto poi la possibilità cominciando dal prendermelo in braccio in sala parto, quando per la prima volta avemmo un incontro senza  … intermediari.  Un bel mestiere, non ci si annoia mai, mai si smette di imparare.

 

Nel decennio che intercorse fra questi due episodi della mia vita ci fu modo di partecipare alla emanazione della legge 194. L’esperienza che avevo passato mi rese particolarmente sensibile al problema tanto che, ricordo, svolsi anche una parte attiva durante il periodo della raccolta delle firme per il referendum. Anche se come uomini, in verità, in  fondo venivamo tollerati solo per una convergenza politica e di principi e non perché ci venisse minimamente attribuita la facoltà di poter capire.

 

La mia era stata una esperienza che niente aveva che vedere con la situazione in cui versavano tantissime ragazze e donne che per motivi ora fisici, ora ambientali, ora economici, ora psicologici, ora per subita violenza, ora ... quelli che vi pare, laddove avessero scelto di non essere disponibili e pronte, si sarebbero trovate davanti un muro. Quello della violenza più atroce ovvero dell’isolamento e dell’abbandono psicologico, legislativo, umano. E se la mia ripeto, non è storia da mettere a paragone con certe conclamate urgenze ed emergenze, senza dubbio dal momento in cui fu deciso quale strada intraprendere (fatto che peraltro non è qui oggetto di discussione), nessuno dei disagi  ci venne risparmiato (pur avendo evitato sia il ricorso a pratiche primordiali o al viaggio della speranza che al tempo talune organizzazioni predisponevano in gran segreto verso l’Inghilterra dove era possibile agire legalmente, per quanto ci fosse stato proposto). La storia volle poi che la legge “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”venisse approvata. A quel tempo, siamo nel 1978, fu un avvenimento epocale.

 

Oggi apprendo da lontano, che uno degli articoli di quella legge è stato rimesso in discussione e che la questione, per estensione, potrebbe avere ripercussioni sulla sopravvivenza della legge stessa.  Leggo con incredulità quasi come la percentuale dei medici e delle strutture che per obiezione di coscienza (eventualità che la legge stessa prevede) si rifiutano di prestare assistenza, siano aumentati rispetto ad allora, a dismisura, come per una rivalutazione oscurantista avvenuta in questi trenta anni.

 

Allora come oggi certo quella legge non dirime - volendo anche ammettere il dubbio etico - il contrasto tra i diritti alla scelta ovvero se sia da assumere come prevalente quello della madre al posto di quello del figlio che, non potendo  di fatto esercitare questa scelta si troverebbe  unicamente, pur essendo biologicamente un essere vivente, a subirne le conseguenze. Di fatto, nella speranza di fare un ipotetico e futuribile regalo all’uno, si esercita per certo una grande violenza nei confronti dell’altra. Resto sempre del parere che un figlio indesiderato ed una madre non consenziente sicuramente costituiscono una miscela esplosiva e non risolvono il problema, non garantiscono la bontà della scelta né la qualità della vita di entrambi e non penso che vi sia teoria o credo al mondo che possa smentire o porre valide ragioni contrarie se non quelle questioni di principio che nella maggior parte dei casi si sono rivelate essere il flagello dell’umanità, il diniego della libertà, l’abbandono del rispetto e della coscienza, la vendita del proprio libero arbitrio. Fermo restando che la civiltà di uno Stato che tale voglia essere, oggi come da sempre, la si può misurare solo in funzione dell’assistenza che offre a tutti i suoi cittadini (non già quelli futuri) rispondendo con un servizio a quanto viene da loro richiesto (e si badi bene, offrire un servizio non significa necessariamente avallare pedissequamente le richieste, ma anche fornire assistenza nella scelta). E se lo stato è laico che lo sia, nei fatti e non nei proclami.

 

Probabilmente la legge 194 va rivista perché la società di oggi è diversa da quella che la richiese. Potrebbe dunque questa apparente messa in discussione rivelarsi un’occasione invece per riaffermare in modo più evoluto, alla luce della esperienza fatta, come a tale diritto di scelta vada affiancato un servizio più efficiente, non solo nell’assistenza dei casi che si presentano, ma anche, nell’aiutare a gestirne le conseguenze che spesso, sono frutto di scelte difficili e tormentate.

 

Resta forse un aspetto che certo è secondario,  non lo discuto, che sarà sicuramente destinato a rimanere molto al margine (ed anche giustamente se vogliamo per adesso almeno, visto che all’esame vi sono questioni di più capitale importanza) ed è il ruolo, laddove si verifichi tale evenienza, di un uomo che si senta coinvolto nella scelta o, quantomeno, nella vicenda. Concediamo e prevediamo nelle pieghe di tutto, un piccolo specifico supporto anche per lui. Essere o non essere padri comporta le sue piccole e grandi difficoltà e magari qualche volta, un maggior coinvolgimento può servire a rinsaldare se non a far emergere certe complicità anziché a creare distanze che possono poi rivelarsi difficili da superare. La condivisione (oggi abusatissimo e decaduto gesto) delle scelte e delle responsabilità più gravi è sempre sintomo di grande forza in un rapporto. Saranno pochi casi forse. Mi sono infatti talmente abituato a sentire da parte degli uomini che la 194 è una legge “fatta per le donne” che quasi mi sembra che con questa definizione,  abbiano risolto ogni loro  problema. Si mostrano compiacenti e favorevoli ma poi, nei meriti della responsabilità, è meglio che se la vedano le donne. Le stesse che poi, talvolta, invece abusano un poco di questa proprietà morale anche se è la natura stessa che certo riconosce loro un coinvolgimento  pesantemente diverso. Sono loro che devono affrontare la parte medica e chirurgica, sono loro che subiscono il maggiore impatto psicologico ma non sono le uniche, in alcuni casi, a sopportare il peso della decisione. Ed io non sono sicuro che "abbiano tutti i palantoni" coloro ai quali fa comodo pensarla così.

 

E vi è infine il luogo comune, quello che piace  tirare fuori correntemente e che divide, spesso inutilmente e falsamente le coscienze o, in mancanza di quelle, almeno i pareri. E sono le affermazioni di carattere politico, quel paravento che, anteposto, stende un velo di apparente riserbo su quelle dell’individuo. Rivisitiamo invece le scelte di ciascuno.  Rivalutiamole in termini di rispetto, di etica, di tolleranza, di disponibilità. Insomma forse è il caso di tornare a pensare in modo più semplice, meno legato a mode, etichette, cliché, principi, religioni.La 194 sembra una legge adattissima a questo tipo di riflessioni per la sua caratteristica che in primo luogo afferisce il senso della libertà, della scelta. Afferisce il senso della civiltà, della comprensione. Misura il livello della nostra evoluzione come persone, come comunità, come stato. Misura lo spessore del vivere civile, ne valuta la qualità.


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