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Umberto Eco, ad esempio, quando scrisse “Il nome della rosa” non aveva in mente di realizzare un romanzo storico: era partito semplicemente dall'idea di scrivere un giallo-poliziesco fondato su “I delitti dell’abbazia”, titolo originario dell’opera. L’impronta storico-filosofica nacque soltanto durante la narrazione, dopo un anno passato a cestinare centinaia di fogli bianchi.
Percorso simile venne compiuto due secoli prima da Alessandro Manzoni con “I Promessi Sposi”, l’opera più famosa della nostra letteratura, nata dal romanzo iniziale “Fermo e Lucia” per poi svilupparsi in una capillare rappresentazione (e sovrapposizione) delle vicende dei due protagonisti sotto la dominazione spagnola del seicento, che in verità erano speculari e riproduttive di quelle vissute dall'autore durante il dominio austriaco dell’ottocento.
Più travagliato è stato l’iter seguito da Alberto Moravia per scrivere “La vita interiore”: ben sette anni e sette stesure (1971-1978), mentre l’Italia precipitava nel baratro del terrorismo sconfinando nell'esaltazione ideologica della rivoluzione studentesca post-sessantottina. Il deterioramento socio-culturale incarnato dalla giovane protagonista, Desideria, fu uno dei primi esempi del personaggio anti-eroe che si frappone come punto di rottura tra la decadente borghesia pariolina e il comunismo rivoluzionario.
E che dire di “Guerra e pace”? Il romanzo di Lev Tolstoj che in origine doveva raccontare la rivolta dei decabristi, membri di una società segreta che nella Russia imperiale organizzarono nel mese di dicembre del 1825 (da qui il termine “decabrista”) un moto rivoluzionario per sovvertire il regime zarista. Diventò tutt'altra cosa proiettando l’attenzione sulle vicende di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, durante la campagna napoleonica in Russia del 1812.
Non a caso ho citato questi quattro grandi capolavori della letteratura mondiale per dimostrare quanto la genialità sia qualcosa di primitivo, di irrazionale, non pianificabile ma fortemente vulnerabile rispetto al contesto storico in cui si manifesta. Qui manca del tutto una progettualità narrativa predefinita: lo scrittore è indotto a scrivere secondo l’evolversi degli eventi, e si sa che le cose migliori nascono quando il genius germoglia in un tessuto sociale animato da una forte spinta ideologica.
Con le debite distanze rispetto agli illustri personaggi testé citati, anche la mia esperienza di cantautore e di scrittore è stata (ed è) fortemente condizionata dalle perturbazioni sociali del mio tempo. Le mie canzoni, ad esempio, nascono prima interiormente, sicché le parole e le musiche sono piuttosto il corollario di un percorso embrionale che arriva alla luce, alla stregua del viaggio di un bambino nel grembo materno.
Quando ho scritto “La prossima vita”, sono partito da un evento drammatico, la morte di mia madre, per raccontare una storia che in qualche modo elaborasse questo lutto. Mi sono così completamente identificato nel personaggio principale percorrendo con lui l’esperienza trascendentale della morte, per la quale il travagliato rapporto coniugale con la moglie Cinzia è stato semplicemente lo strumento per attestare la sopravvivenza dei buoni sentimenti.
E’ così per il nuovo romanzo che sto scrivendo, nato dalla lettura di un’opera celebre (che per il momento non svelo) e che si sta sviluppando con una trama del tutto inaspettata.
Insomma, gli spunti sono tanti, ma quando nasce un romanzo è sempre un evento. Grande o piccolo che sia, è come un figlio che tieni in braccio coccolandoloe riempendolo di cure prima di lasciarlo andare, libero di camminare nell'infinito mondo delle idee.http://feeds.feedburner.com/VittorianoBorrelliLeParoleDelMioTempo
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