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“Quando scrivo non ricordo in quale angolo della Terra sia nata.” Maddalena Santoro

Creato il 10 dicembre 2013 da Ilariagoffredo

Questa mattina sono stata in biblioteca per fare… indovinate cosa? Sì, ricerche storiche, al mio solito. Mentre consultavo la miscellanea degli articoli di giornali e riviste pubblicati negli anni Trenta, ho trovato un numero de La Puglia letteraria. Ho conosciuto così diversi artisti della mia terra. In particolare condivido il pensiero della scrittrice Maddalena Santoro per quanto riguarda il rapporto tra la scrittura e la propria terra d’origine. Al che mi sono detta: perché non dedicarle un articolo nella mia rubrica letteraria?

Maddalena Santoro

 

La vita

santoro

Maddalena Santoro (Lecce 1884 – Milano 1944) fu una scrittrice pugliese. Figlia dell’avvocato e pubblicista leccese Saverio Santoro, frequentò il ginnasio Palmieri. All’inizio degli anni Venti si trasferì a Milano. Si sposò in età matura con il conte Colombini. Sin dal 1923 collaborò con diversi giornali e riviste: Lidel, Novella, La Donna, Riviste Ligure, Il Giornale della Donna, Terra di Puglia, Il Piemonte, Humanitas, La Puglia Letteraria.

Le opere

Oltre a novelle, articoli e raccolte di versi, pubblicò diversi romanzi:

  • Trasparenze femminili
  • Così donna mi piaci
  • Ombre sull’aurora
  • L’altra
  • L’amore ai forti
  • Fanatici d’amore
  • Sulle ali del’enigma.
  • L’inutile gloria
  • Solitudine.
  • Senza amore

La poetica

La scrittrice salentina trasmise nei suoi racconti i tratti dell’ideologia di appartenenza modificati in parte dalla formazione personale e dalla mitologia della belle époque (vedi approfondimento in fondo all’articolo).

Il rapporto con la scrittura e con la terra natia

Polignano

E ora vi riporto la risposta della scrittrice a una domanda postale dalla rivista La Puglia letteraria e pubblicata nel numero del 29 febbraio 1932.

Domanda:

Per quali testimonianze della vostra arte si può riconoscere in voi una scrittrice pugliese?

Risposta:

Quando scrivo, io non ricordo, certamente, in quale angolo della terra sia nata, dove il mio cervello e la mia fantasia abbiano attinta la linfa che ha alimentato le loro radici. La mia anima s’abbandona a un irresistibile bisogno di espandersi e io seguo, con obbedienza che chiamerei quasi devota, quella che è la sua inspirazione, fatta di sincerità, di limpidezza, di entusiasmo.

Nessun programma, nessuna voluta costruzione e quindi nessun artificio in quello che scrivo. Non m’accorgo, quasi, d’essere io stessa a scrivere: i pensieri, che si concretizzano in periodi, scaturiscono spontanei e rapidi da una sorgente che pare inesauribile, forse perché è tutta fatta di vaporosa idealità, che mi impedisce d’affaticarmi col peso di ricordi storici o letterarii, con rievocazioni d’ambienti, sui quali brevemente mi soffermo, quasi sfiorando appena tutto ciò che è luogo fatto o convenzione, mentre preferisco penetrare, anzi immergermi nel profondo mistero delle anime.

Quando ho finito di scrivere un capitolo, lo leggo con la curiosità con la quale si legge ciò che non ci appartiene, e ci appare, nella lettura, nuovo: non immaginato, e tanto meno espresso da noi ma sentito sì, e quasi trovato per caso ma con gioia sul foglio che ce lo ha offerto come un dono. Se per poco mi soffermassi a fare delle considerazioni, troverei forse rispecchiata nell’esuberanza delle mie narrazioni la rigogliosa vegetazione della mia terra di Puglia; nella casta, quasi timida sentimentalità delle mie protagoniste la magnifica tradizione d’onestà, di dedizione appassionata e devota delle nostre donne; nell’ardore che anima i personaggi dei miei romanzi il vivido raggio del sole meridionale; nell’imprecisione o nell’incompiutezza di certe frasi, nel languore d’alcuni atteggiamenti, l’orientale indolenza che è innata in quasi tutti i figli della mia terra; nel lento svolgersi dei fatti, attraverso le profonde evoluzioni dello spirito, la prevalenza che in Puglia ha l’idealità sulla materialità, la contemplazione dell’azione.

Penso quindi che pure non scrivendo romanzi regionalisti, io porto involontariamente in ciascuno di essi tutti i pregi e tutti i difetti della mia origine, e se pure non descrivo le tendenze, le consuetudini della mia regione esse balzano vive, quasi a mia insaputa, dal carattere e dalla vita delle creature del mio spirito; se non esalto la purezza del bel cielo meridionale, essa si mostra limpida negli azzurri occhi di una delle mie protagoniste, se non sciolgo un inno alle verdeggianti e rigogliose pianure di Puglia, i lettori sanno egualmente rintracciarle nel piano e soleggiato mio periodare che a esse sembra ispirato; se non descrivo i generosi impulsi, la pronta dedizione, l’ammirevole spirito di sacrificio dei figli della mia terra, a essi s’ispirano tuttavia le mie pagine di patriottismo, di eroica abnegazione e di gloria.

Quando scrivo – ho detto – non ricordo in quale angolo della Terra sia nata, ed è vero. Ma è anche verissimo che scriverei forse peggio, forse meglio, non so: certo diversamente di come scrivo, se non portassi con me il caratteristico, suggestivo profumo della mia Puglia; se non sentissi vibrare con la mia anima, nella mia anima, il cuore forte e generoso dei miei fratelli.

Firma di Maddalena Santoro.

Firma di Maddalena Santoro.

 

Approfondimenti

Belle Epoque

La Torre Eiffel, che si erge con i suoi 324 m d'altezza (compresa la moderna antenna) sopra la città, fu eretta in occasione dell'Esposizione parigina del 1889. Progettata dall'ingegnere francese Gustave Eiffel, questa imponente costruzione in ferro è un capolavoro della tecnologia del XIX secolo.

La Torre Eiffel, che si erge con i suoi 324 m d’altezza (compresa la moderna antenna) sopra la città, fu eretta in occasione dell’Esposizione parigina del 1889. Progettata dall’ingegnere francese Gustave Eiffel, questa imponente costruzione in ferro è un capolavoro della tecnologia del XIX secolo.

Espressione che si riferisce al periodo della storia europea compreso all’incirca tra il 1870 e lo scoppio della prima guerra mondiale (1914): “epoca bella” per l’eccezionalità dello sviluppo civile, economico e culturale vissuto dagli europei in quel lasso di tempo, in contrasto con l’abisso di barbarie in cui quell’Europa in piena euforia da progresso precipitò con la Grande Guerra.

Effettivamente nella Belle Epoque gli europei conobbero i frutti di un discreto benessere che pareva garantito da un ciclo di pace generale, soltanto incrinata dai conflitti nei Balcani e da circoscritti episodi di competizione coloniale tra le grandi potenze.

L'opera di Henri de Toulouse-Lautrec è un ritratto realistico e vivace della Parigi di fine Ottocento, e soprattutto dei suoi locali alla moda, come il leggendario Moulin Rouge. Il pittore francese, uno dei principali artisti del postimpressionismo, amava ritrarre le protagoniste dello spettacolo e della mondanità: tra queste ci fu

L’opera di Henri de Toulouse-Lautrec è un ritratto realistico e vivace della Parigi di fine Ottocento, e soprattutto dei suoi locali alla moda, come il leggendario Moulin Rouge. Il pittore francese, uno dei principali artisti del postimpressionismo, amava ritrarre le protagoniste dello spettacolo e della mondanità: tra queste ci fu “La Goulue”, famosa ballerina di cancan.

Fu quello il periodo in cui la tecnologia liberò tutte le sue potenzialità, esercitando una straordinaria forza di attrazione culturale e psicologica. La vita materiale nelle società occidentali fu modificata come mai prima era successo dai risultati dell’innovazione tecnica, dai progressi della scienza e dall’incremento della produzione industriale. Dall’impiego su scala mondiale dell’energia elettrica e dalla possibilità di trasportarla ovunque derivarono una lunga serie di applicazioni pratiche che cambiarono in meglio la vita degli uomini (dall’illuminazione privata e pubblica all’elettrificazione delle ferrovie).

Anche il telefono conobbe una rapida diffusione. Nel 1895 la scoperta fatta da Guglielmo Marconi inaugurò l’era della telegrafia senza fili e aprì la strada all’invenzione della radio, contribuendo a ridurre l’incidenza della distanza nelle relazioni umane. L’automobile e l’aeroplano intanto facevano la loro apparizione, mentre la scienza compiva progressi eccezionali grazie all’avanzamento della chimica e della biologia. Il ciclo economico, dalla metà degli anni Novanta del XIX secolo, fu all’insegna di un forte e prolungato incremento produttivo, che finì per contagiare non solo gli ambienti finanziari ma anche la platea dei consumatori, in forte crescita numerica, al punto che molti osservatori hanno collocato alla fine dell’Ottocento la nascita della moderna società dei consumi. Gli indicatori demografici sottolineano la forza propulsiva di quella fase economica: l’Europa, nonostante l’emigrazione in America di oltre 30 milioni di suoi abitanti, registrò una crescita demografica che, tra il 1870 e il 1910, fece salire i suoi abitanti da 290 a 435 milioni.

All’interno delle grandi città si determinò un sostanziale miglioramento nella vita materiale, garantito da una serie di servizi mai prima d’allora elargiti (illuminazione pubblica, sistema fognario, strade asfaltate, centri di prevenzione sanitaria, scuole per l’infanzia, scuole elementari, controlli medici sugli alimenti, trasporti pubblici). Nelle città si stava affermando la moderna civiltà delle macchine, dalla quale si irradiavano i nuovi miti del progresso, della prosperità, della felicità materiale: traguardi, questi, che parevano raggiungibili a un vasto numero di persone. La seduzione del comfort, accessibile a tutti, dispiegava i suoi benefici dinanzi agli occhi di milioni di consumatori.

Figura fondamentale nell’evoluzione del manifesto della seconda metà dell’Ottocento fu il francese Jules Chéret, che applicò la sua arte sia alla pubblicità commerciale, sia alla cartellonistica teatrale. E proprio al mondo della mondanità e dello spettacolo si rivolse per attingere il tono leggero, brillante e un po’ frivolo della sue immagini, caratterizzate da una grande carica evocativa e capaci per questo di apparire immediatamente gradite al pubblico.  La figurina femminile della pubblicità della cipria La Diaphane (1890) non è una donna qualunque, ma una signora libera e spregiudicata, nella quale anche la più dimessa casalinga può – per la magia di questo codice comunicativo – identificarsi... purché usi il suo stesso maquillage.

Figura fondamentale nell’evoluzione del manifesto della seconda metà dell’Ottocento fu il francese Jules Chéret, che applicò la sua arte sia alla pubblicità commerciale, sia alla cartellonistica teatrale. E proprio al mondo della mondanità e dello spettacolo si rivolse per attingere il tono leggero, brillante e un po’ frivolo della sue immagini, caratterizzate da una grande carica evocativa e capaci per questo di apparire immediatamente gradite al pubblico.
La figurina femminile della pubblicità della cipria La Diaphane (1890) non è una donna qualunque, ma una signora libera e spregiudicata, nella quale anche la più dimessa casalinga può – per la magia di questo codice comunicativo – identificarsi… purché usi il suo stesso maquillage.

Parigi, più di altre, fu la città-vetrina di quel nuovo mondo: divenne la capitale europea del turismo e dei consumi, degli spettacoli e dell’arte, della cultura e della scienza, dello sport e della moda. Per questo fu anche la capitale della Belle Epoque, con tutta la variegata gamma delle sue espressioni, dai fenomeni di costume sociale (i caffè concerto, le gare sportive, le corse automobilistiche, i voli in aeroplano, i grandi magazzini) a quelli dell’espressione artistica (il teatro, l’opera, il cinema dei fratelli Lumière, la pittura degli impressionisti). Altre capitali europee, quali Londra, Vienna, Budapest, Berlino, si imposero come centri pilota delle moderne società industriali e di massa, mentre il loro successo di immagine esaltava il primato culturale ed economico dell’Europa, allora all’apogeo.

Fonti: Encarta, La Puglia letteraria, Centro documentazione Delfino Pesce

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