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Quando tagliarsi fa sentire meglio: cutting, cutter e autolesionismo

Da Quipsicologia @Quipsicologia

L'articolo Quando tagliarsi fa sentire meglio: cutting, cutter e autolesionismo è apparso per la prima volta su Qui psicologia.

Cutting vuol dire tagliarsi la pelle con lamette o qualsiasi altro oggetto affilato, ad esempio chiodi, forbici, coltelli, fermagli, pezzi di vetro, senza avere l’intenzione di uccidersi. È una forma di autolesionismo attuata in modo deliberato e ripetitivo. Ne sapeva qualcosa Lady Diana, che, oltre a soffrire di bulimia, si procurò varie volte delle lesioni usando lamette e coltelli.

Perché tagliarsi?

Tagliarsi è un comportamento che spesso comincia nell’adolescenza, intorno ai tredici anni, diffuso soprattutto tra le ragazze. Non c’è un’unica spiegazione che renda conto dei motivi per cui una persona può decidere di tagliarsi.

Se alcuni ragazzi e ragazze si tagliano, è per controllare e interrompere, in modo indiretto, un dolore mentale troppo forte, un’angoscia troppo intensa e insostenibile: per loro, il dolore fisico è preferibile a quello mentale e fanno in modo che il dolore fisico prenda il posto di quello mentale. Le ferite inflitte al corpo sono un mezzo estremo con cui lottare contro la sofferenza.

Cutting, cutter e autolesionismo-quando tagliarsi fa sentire meglio
Per altri adolescenti tagliarsi è un modo per percepire di esistere ed essere vivi: meglio un dolore fisico che non sentire niente o sentirsi vuoti e inutili.

Tagliarsi dà l’illusione di un sollievo, a volte addirittura euforia, come se dai tagli fuoriuscissero finalmente le emozioni che non si riescono a tollerare dentro di sé: la disperazione, la tristezza, il sentirsi rifiutati, la solitudine e soprattutto la rabbia verso qualcun altro da cui si sente di dipendere e che si teme si allontani. È una rabbia che diventa odio contro se stessi e la propria incapacità nel gestire una data situazione. Tagliarsi può permettere allora di abbassare una tensione estrema.

Come scrive l’antropologo francese Le Breton (2003, pag. 11):

La ferita crea un rifugio provvisorio, che consente all’individuo di riprendere fiato: […] serve a scaricare una tensione, un’angoscia che non lascia più alcuna scelta, nessun’altra risorsa – e di cui l’individuo deve potersi liberare.

Tagliarsi, ma anche bruciarsi con le sigarette (burning) o marchiarsi a fuoco la pelle con un laser o un ferro rovente (branding) o grattarsi sino a farsi uscire il sangue, permette, in assenza di strategie più mature e funzionali, di ristabilire un equilibrio, di ricollocarsi nella propria vita, di esprimere la propria indipendenza affettiva dai genitori o una sfida nei confronti delle regole che questi ultimi vogliono imporre.

I segni e le cicatrici lasciati da questi gesti autodistruttivi racchiudono una sofferenza per la quale la persona non ha ancora trovato parole che la raccontino.

Cutting, burning e branding sono comportamenti particolarmente frequenti durante l’adolescenza. E questo non è un caso, se teniamo presente che il corpo che cambia, amato e al tempo stesso rifiutato, il corpo dove nasce il desiderio sessuale e in cui si radica l’identità è il terreno di battaglia di ogni adolescente. Con il tagliarsi, l’adolescente cerca una disperata via d’uscita dalla fatica per lui insostenibile della crescita, dal senso di fallimento per il non sentirsi in grado di farcela a diventare grande. L’adolescente tenta così di affermare se stesso, utilizzando l’unica cosa su cui gli sembra di potere esercitare un controllo, il suo corpo.

Come accorgerti che tuo figlio o un tuo amico si tagliano?

Chi decide di tagliarsi lo fa di solito di nascosto e cerca di mantenere il segreto su questo comportamento. Eventuali indicatori dell’esistenza di comportamenti di cutting, burning o branding possono essere:

  • vestiti non appropriati alla stagione, ad esempio indossare esclusivamente camicie o magliette con le maniche lunghe in piena estate;
  • macchie di sangue sui vestiti;
  • ferite, lividi o tagli non spiegati;
  • possesso di oggetti taglienti (rasoi, lamette, forbici, coltellini, aghi, pezzi di vetro);
  • isolamento, ad esempio passare molto tempo in bagno;
  • irritabilità;
  • difficoltà nel fronteggiare emozioni forti;
  • rabbia eccessiva o umore depresso;
  • mancanza di legami sociali;
  • disegni, scritti, etc. che hanno per tema il dolore, la tristezza, il ferirsi.

Che fare?

Reagire con disgusto, colpevolizzare, liquidare questi comportamenti di cutting, burning e branding come ragazzate o ridurli alla  mera richiesta di attenzione non serve a molto. Sono gesti che racchiudono una profonda sofferenza e che concedono a chi li attua una tregua, la parvenza di un conforto, una forma di autoaiuto che va innanzitutto rispettata: per quanto possa apparire assurdo, questo è il miglior modo che la persona ha sinora trovato per padroneggiare i suoi problemi e continuare a vivere. Probabilmente non ne è affatto fiera, anzi se ne vergogna e pensa che nessuno possa capire cosa prova.

Se si vuole aiutare un amico o un figlio che si taglia o si fa del male in altro modo, il punto di partenza è non giudicare e offrire sostegno. Offrire sostegno vuol dire evitare ultimatum, punizioni o minacce: se fosse stato facile, la persona avrebbe già smesso. Significa aiutarla a riconoscere le emozioni e a gestirle in modo diverso che con i tagli, incoraggiarla a capire a che le serve tagliarsi e a individuare strade più sane per esprimere i suoi stati d’animo. Tutto questo non è facile e rivolgersi a un esperto è il più delle volte la cosa più sensata.

Bibliografia

Le Breton D. (2003). La pelle e la traccia. Le ferite del sé. Meltemi Editore, Roma, 2005.

Pommereau X. (1997). Quando un adolescente soffre. Pratiche Editrice, Milano, 1998.

Photo credit: ZoiDivision

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