La parola yoga contiene la radice yuj, che in sanscrito significa “unione”. È una disciplina che consente di ricongiungere i vari frammenti dell’Io in una identità unitaria.
Con la rivelazione del significato di yoga si inaugura il Festival Teatro e Spiritualità, manifestazione organizzata dal Teatro Out Off in collaborazione con Fondazione Art of Living e Associazione Teatro MaMa, per avvicinare alla conoscenza della cultura spirituale indiana attraverso il linguaggio del teatro, della musica, della danza. Un’opportunità che vale la pena di cogliere per riavvicinarsi a una autenticità annullata dalla frenesia della nostra vita.
Le serate del festival prevedono diverse attività: un pre-spettacolo (indicato simpaticamente come “Yoga in Poltrona”), un dopo spettacolo (“Assaggi di Saggezza”) con cena vegetariana, e, ovviamente, lo spettacolo intitolato Il canto di un uomo felice.Entrando in sala il pubblico viene fatto accomodare mantenendo qualche posto vuoto tra uno spettatore e l’altro per agevolare i movimenti. Una insegnante della Art of Living, seduta sul palcoscenico, parla con una voce così rilassante che le tensioni della giornata sono tentate di togliere il disturbo spontaneamente. Quindici minuti di yoga base per imparare che respirando attivando il diaframma (il muscolo di cui dimentichiamo l’esistenza non appena impariamo a “tenere in dentro” la pancia) e applicando un leggero massaggio su tutto il corpo possiamo fermare il tempo, svuotare la mente, rilassare i muscoli carichi di tensione.In questo stato di benessere si assiste allo spettacolo Il canto di un uomo felice, adattamento teatrale dell’opera omonima, a cura di Giorgio Minneci e Cristina Tuscano.Nel 1991 il maestro spirituale Sri Sri Ravi Shankar commenta il testo della tradizione vedica Ashtavakra Gita, il Canto di Ashtavakra, basato sul dialogo tra Re Jeneca – desideroso di conoscere la via per raggiungere la conoscenza che rende liberi – e il saggio Ashtavakra, nato storpio ma con la capacità di essere felice.«La vita può essere facile se vuoi che lo sia»: il saggio predica il cambiamento interiore attraverso la disciplina del corpo e della parola, e conduce Jeneca a uno stato di consapevolezza interiore che lo fa vivere in pace con se stesso e con gli altri, nella libertà delle proprie azioni e dei propri pensieri. Nell’adattamento teatrale gli insegnamenti di Ashtavakra sono accompagnati da aneddoti che rendono più scorrevole un testo molto denso di assunti spirituali. Lo schema drammaturgico risulta, però, alquanto ripetitivo nel reiterare la successione dottrina, aneddoto, controscena dei servi (che vivono in prima persona la trasformazione dalla diffidenza e dalla cattiveria all’abbandono e all’amore). Pur mostrando evidenti lacune registiche, lo spettacolo colpisce per l’intensità del contenuto e per la capacità di coinvolgere emotivamente chi vi assiste. Nonostante un eccesso di didascalicità nel mettere in scena gli insegnamenti di Ashtavakra, non possiamo evitare di interrogarci sul senso del nostro vivere quotidiano, tra frustrazioni e rabbia, alla ricerca di una felicità esteriore che non è autentica, dimenticando chi siamo e perdendo la bellezza dell’attimo presente. «Il presente è inevitabile»: ricorda molto l’hic et nunc (il “qui e ora”) che definisce il teatro. Forse è possibile trovare una nostra identità individuale e collettiva nel luogo che vive dell’attimo presente: il teatro.Le riflessioni vengono condivise, dopo lo spettacolo, al ristorante del teatro, davanti ai piatti vegetariani ispirati alla cucina indiana: gustosa conclusione di un’esperienza che apre lo sguardo a una consapevolezza maggiore – il primo passo verso il cambiamento.visto al Teatro Out Off il 21.VI.2011