A chi ha studiato comunicazione la morte di Umberto Eco non può essere passata inosservata. I suoi libri rimarranno, certo, ma la sua figura mancherà a tutti noi. Mancherà ancor di più la sicurezza di averlo in cattedra. Con lui in vita ci sentivamo ancora tutti al riparo dalle critiche sull’utilità di una facoltà troppo bistrattata, quella di scienze della Comunicazione, da lui fondata.
È grazie a lui se gli studi sulla comunicazione sono arrivati in Italia. È grazie a lui se la televisione, la radio, il cinema, la pubblicità sono diventati qualcosa che poteva essere studiato. È grazie a lui se abbiamo letto “Apocalittici e integrati” se abbiamo riflettuto sulla differenza tra cultura elitaria e cultura di massa, tra industria culturale e consumismo.
Nelle sue lezioni di semiotica, la scienza dei segni da lui fondata, ci ha insegnato che tutto può essere interpretato. Il testo per Eco era "una macchina pigra" dove un ruolo fondamentale viene svolto dal suo fruitore e dai percorsi di senso che egli riesce a costruire. Come scrive nella sua opera Lector in fabula a proposito del principio della cooperazione interpretativa nei testi narrativi, la costruzione del senso di un testo si gioca nel processo dialettico che si attiva tra le strutture retorico-testuali e le strategie di interpretazione del lettore.
Ma Eco era prima di tutto un intellettuale del nostro tempo. Qualche tempo fa aveva detto “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli” a proposito dell’uso e del linguaggio dei social media.
Umberto Eco era un professore, di quelli con la libido docendi, come hanno ricordato su Repubblica dopo la sua scomparsa. Nel 2009 in occasione di un discorso alle matricole del corso di laurea in Scienze della Comunicazione a Bologna disse :“Frequentare bene l’università vuol dire avere vent’anni di vantaggio. È la stessa ragione per cui saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità. Auguri”.
Alessia Gervasi