Trovo continue conferme del fatto che la presenza dei libri in ospedale permette ai pazienti di avere uno strumento utile per affrontare più serenamente la degenza. Di più: stimola gli operatori sanitari a utilizzarli come mezzi di comunicazione quale aggiunta alle capacità professionali già messe in campo, ponendo in essere una pratica di umanizzazione delle cure.
Ieri la mia collega Elisa mi ha chiesto con un sms dove avessi messo un libro che voleva far leggere a un paziente e che in reparto non trovava. Si trattava de Lo sciamano di Noah Gordon. Questa mattina, recuperato il libro, l'ho dato al paziente che mi era stato indicato. Elisa aveva colto l'interesse di quel paziente e dato che quello, come altri libri, li aveva donati lei all'ospedale, ha potuto individuarlo e proporlo (capite l'importanza di sapere quali titoli sono presenti e di averli già letti?). Sembra una cosa semplice quella che ha fatto, quasi banale, ma non lo è affatto. Offrendo quella lettura al paziente ha dimostrato che il suo ascolto non era formale, ma sincero, tanto da indurla a utilizzare le sue competenze di lettrice (non richieste nel suo curriculum di infermiera) per cercare un libro che gli tenesse compagnia. Per una persona allettata, dipendente dal personale, ottenere una tale attenzione significa essere certi che le cose che lui dirà, saranno tenute in considerazione. E, indirettamente, si realizza nel suo animo la fiducia che nello stesso modo in cui è stato colto e soddisfatto il suo interesse di lettore, così saranno i suoi bisogni di persona malata. Questo è solo un esempio pratico di ciò che può realizzare la presenza dei libri in ospedale (compatibilmente con la mole di lavoro e delle priorità assistenziali). Non siamo certo davanti al massimo potenziale della biblioterapia, ma all'influsso che la copiosa presenza di libri può portare. E' questo il punto di partenza indispensabile: libri in quantità che invoglino i pazienti a leggere e il personale a offrirli. La soddisfazione per entrambi è garantita.