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Quando vola la poesia. UT a Gaico.

Da Massimoconsorti @massimoconsorti
Quando vola la poesia. UT a Gaico.Gli ingredienti ci sono tutti, compresi amici, location, stato d’animo e predisposizione di spirito, voglia di volare, almeno per qualche ora. Parto con l’intenzione di vivere una giornata alla grande, non perché mi sono prefissato l’obiettivo di conquistare chissà cosa, perché sono stanco di chiacchiere vuote, e a sopperire alle chiacchiere spesso basta un po’ di buon senso, magari un picnic. Di periodi duri ce ne sono stati e uno che non vuole farsi travolgere pensa, con un po’ di ottimismo, che prima o poi finiranno. Ma quando mai? Così, armato di una “scaletta”, della voglia degli amici di “esserci” e di vivere di poesia per un po’, arriviamo a Gaico (un posto di cui ho ignorato l’esistenza fino a qualche giorno fa), per raccontare UT usando versi e prosa, musica e recitazione. Lo confesso. Non sono un amante delle mosche, dei rovi, di insetti mai visti che mi ronzano intorno. I miei amici lo sanno che tifo in modo sfacciato per Manhattan e che il mio habitat naturale è rappresentato dall’asfalto, dal cemento e dalle vetrate che riflettono CentralPark. L’ossigeno puro mi imbarazza e mi dà un’ebbrezza simil-alcoolica stordente per cui, quando arriva un 4x4 del Cai ne respiro il gas del tubo di scappamento quasi fosse lui, l’ossigeno. Sono un animale metropolitano e della natura mi piacciono le fotografie; per quelle ci vado matto. Per non parlare delle grotte che, da quando soffro di claustrofobia, sono diventate incontrovertibilmente il mio incubo peggiore. Però faccio finta (ma solo per un quarto d’ora), che il contesto, quella piccola radura coperta dall’ombra degli alberi mi piaccia, ci vuole poco a passare per un amante della natura e, alla fine, non costa niente. Allora penso: “Concentrati sull’obiettivo”, e mi dico “Ok sergente, conquisteremo la collina”, come un vero marine a Iwo Jima. Poi però arriva l’incanto e allora tanto vale smettere di fingere. Gli insetti continuano a ronzarmi intorno, gli aghi dei ricci dei castagni mi sono entrati ormai dappertutto, il sole che filtra dai rami mi ha già stordito, tanto vale stare al gioco: peggio di così. La sorpresa, perché per noi uttiani di sorpresa si tratta, è quando vediamo arrivare una frotta di persone che non pensavamo, non credevamo, non speravamo. Reduci da 13 chilometri di escursione a piedi, sotto il sole, armati di zaini e bastoni da trekking, decine di appassionati della montagna, per me aspiranti suicidi, si siedono all’ombra degli alberi. Sono qui per noi, dopo una fatica titanica, solo per ascoltare poesia. È strano il mondo e ancora più strano chi lo abita. Penso sempre all’insensibilità degli altri e ora, a Gaico, in questo momento, una folla sta per assistere alla nostra esibizione e mi dico solo “Speriamo di essere all’altezza”. Mi riservo un piccolissimo spazio. In alcuni momenti è bene che il direttore scompaia e scomparire, a me, costa pochissimo. Lo faccio perché rifuggo da sempre (nonostante chiacchiere malevole) qualsiasi tipo di protagonismo e so quando arriva il momento di andarmene. Leggo il mio editoriale e poi tutto lo spettacolo che ho pensato e definito con la redazione, passa ad Emanuele, poeta giovane e sottile come gli aghi dei ricci delle castagne; ad Alessandra, giovane (anche lei) scrittrice in prosa poetica che si “carica” con un respiro profondo prima di iniziare il suo monologo; ad Antonella che da giornalista qual è preferisce la narrazione totale; a Michaela, fresca reduce da una full immersion in Guernica; a Enrica, poetessa raffinata che delizia il pubblico con i suoi versi e la “ballata” scritta appositamente per Fabrizio De Andrè; a Francesco che come sempre si emoziona e invece di leggere la nota biografica di Piero Crida, l’artista che accompagna il numero di UT sull’Infinito, si avventura nella nota critica che mi sono divertito a scrivere per l’opera dell’illustratore piemontese. Nel frattempo Dante fotografa tutti i momenti della presentazione con la sua perizia e la sua sensibilità, doti che lo hanno fatto diventare il “fotografo” di UT e il protagonista di riuscitissime mostre e performance. A intervallare le parole, tante, infinite come il tema che stiamo trattando, le note che escono dalla chitarra di Ed Schmidt che per l’occasione canta la libertà. E allora da Blowin’ in the Wind a Freedom, quella radura ombreggiata si trasforma nelle strade della California e nei prati della sua verde Irlanda, che ci vuole? Solo un po’ di fantasia. La conclusione è tutta di Vincenzo Di Bonaventura, il nostro “attore solista”, che decide di lasciarsi andare  tra i versi leopardiani e quelli scarnificanti di Dino Campana. Io osservo, do i tempi, supplisco a dimenticanze ma tutto fila, ma proprio tutto, come un cronometro svizzero, come l’essenza di parole che non hanno bisogno di commenti. Non si sente una voce “estranea” e a un certo punto sembra che perfino gli insetti abbiano smesso di ronzare preferendo la poesia che vola alta, ben oltre le chiome degli alberi per andare a posarsi chissà dove. A un certo punto penso che mi piacerebbe volare con le parole per ritrovarmi non so dove né con chi, ma sono già scomparso, il resto a cosa servirebbe... 

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