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Quanno Scrive ‘a Penna: il Dialetto dà Voce al Cuore

Creato il 10 ottobre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Quanno Scrive ‘a Penna: il Dialetto dà Voce al Cuore

Nella crescita di un uomo il vissuto diventa ricordo incatenato a una spessa rete di emozioni che erompono impetuose ogni volta che un frammento di memoria riaffiora alla mente. Si è sempre cercato di spiegare un’emozione, di analizzarla, ma è scientificamente impossibile studiare qualcosa di non tangibile, così l’unica soluzione appurata per tentare di dar voce ai moti dell’animo è stata fin dai tempi più antichi la scrittura e in particolar modo la poesia. Il componimento poetico nasce proprio dall’esigenza di trasmettere un messaggio che si cela nel profondo di noi stessi; lo scopo di un poeta è quello di liberare, attraverso le parole e la loro musicalità, un sentimento. Nella raccolta di poesie “Quanno scrive ‘a penna” di Mario Profenna (edita dall’Associazione Culturale La Bottega delle parole) l’artista riesce perfettamente nel suo intento, trasformando in versi le passioni, le sensazioni di una intera vita. Un uomo comune, un “fabbro lavoratore”, cosi si definisce Profenna, che ha saputo coniugare l’interesse per la poesia con il suo quotidiano di figlio, di padre di famiglia, di operaio e di marito. Sono proprio questi gli aspetti che determinano la sua opera, resa ancora più reale dall’utilizzo della lingua dialettale. La stesura di una raccolta di poesie può essere un lavoro difficoltoso perché è sempre alta la possibilità di non essere ben interpretato e di cadere nel banale, soprattutto trattando temi comuni come l’amore e la famiglia, ma l’utilizzo del dialetto napoletano è stato in questo caso un ottimo escamotage per superare questo ostacolo. Certo, la comprensione di alcuni termini non è sempre immediata per i lettori non partenopei, ma è proprio la musicalità della lingua parlata che carica le parole di un valore fortemente evocativo. Proprio grazie al dialetto e al suo calore la delicatezza e l’affetto scaturiscono con forza nelle rime dedicate alla madre, alla moglie e ai figli, creando situazioni quotidiane dai tratti teneri e semplici, che vanno contrapponendosi alle poesie più intimistiche; un uomo che si riflette allo specchio e che vedendo la sua vita passare si pone domande, si interroga, ascoltando le risposte che il suo Io gli dona.

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Già il titolo della raccolta fa intendere che essa sia stata concepita attraverso un voluttuoso flusso di coscienza del poeta; uno stralcio della prima lirica infatti recita: «Quanno scrive ‘a penna, nu’ songh’io ca ‘a stòngo a cummannà! È stu core mio che detta e scrive ‘e parole ‘e ammore pe tè»; ed è proprio questo che ha fatto Mario Profenna: scrivere freneticamente ciò che il suo animo gli dettava. Nel volume vi sono anche delle poesie dedicate alla sua Napoli; l’attaccamento, l’amore per la sua terra tanto bella e tanto difficile si legge nelle strofe di “Addio Napule” dove il bisogno di andar via da questa città è sì una necessità, ma anche un dolore così forte da diventare una fissazione. Il poeta tenta di andare altrove per trovare fortuna, ma si interroga su quando potrà rivedere la sua Napoli. Del resto il dialetto sottolinea già questa dipendenza, questa assoluta devozione nei confronti del proprio luogo natìo, un’appartenenza che è ben radicata in Profenna. Un aforisma di un linguista lituano, Max Weinreich, diceva: «Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina militare», quindi perché non adottare le armi che possiede il dialetto e anzi, grazie a esse, esaltare certe sfumature che nella lingua standard si appiattirebbero diventando monocromatiche?

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