Immagine artistica che raffigura l’interazione tra un blazar e i fotoni di “sfondo” presenti nel tragitto dei raggi gamma. Sono mostrati anche strumenti di misura che si “interessano” del fenomeno. (Crediti: Nina McCurdy and Joel R. Primack/UC-HiPACC; Blazar: Frame from a conceptual animation of 3C 120 created by Wolfgang Steffen/UNAM).
di Marco Castellani
La maggior parte dei cosmologi è d’accordo. Anzi, quasi tutti lo sono: l’universo è iniziato da un “grande scoppio“. Ad un certo punto, intorno ai 13,8 miliardi di anni fa, si è accesa la luce. A proposito di luce, ci si può chiedere, ma quanta ne è stata prodotta dall’universo, in tutto questo tempo?
Bene. Sembrerebbe difficile ottenere una risposta, così su due piedi. Pensiamo ad una comune lampadina. Quando la spegniamo i fotoni sono scomparsi, svaniti nello spazio. Difficile, impossibile, poterli contare, ormai.
Un momento, però… Nello spazio non è esattamente così. Nello spazio i fotoni possono ancora essere contati. Ogni particella di luce emessa da una galassia o da una stella sta ancora viaggiando, dopotutto. Ecco perché siamo in grado di andare tanto lontano (e tanto indietro nel tempo) con i nostri telescopi.
Un articolo appena uscito sulla rivista Astrophysical Journal si propone di esplorare la natura di questa “luce diffusa extragalattica” (chiamata brevemente EBL, dalla dizione inglese Extragalactic Background Light). Il team che ha prodotto il lavoro lo dice chiaramente, “per la cosmologia è fondamentale (conoscerla) tanto quanto misurare la radiazione residua dal Big Band (la radiazione cosmica di fondo) alle lunghezze d’onda del radio”
Investigando un po’, viene fuori che diverse sonde della NASA, ad esempio, hanno già fornito validissimi strumenti per iniziare a formulare una risposta. Le sonde hanno investigato l’universo in ogni possibile lunghezza d’onda, dalle più lunghe e deboli onde radio fino ai raggi gamma sprizzanti energia. Per quanto la loro capacità di indagine non si possa spingere fino ai primi istanti di vita dell’universo, nondimeno ci forniscono utilissimi dati dagli ultimi cinque miliardi di vita dell’universo circa (che poi è – per coincidenza – anche l’età stessa del sistema solare).
Tuttavia rimane una obiezione (almeno). Difficile osservare la debole luce di sottofondo nell’universo, soprattutto in presenza delle stelle e delle galassie, più o meno come sarebbe difficile vedere la Via Lattea da una grande città. E allora? La soluzione c’è (…l’avreste sospettato?) e coinvolge i raggi gamma e i blazar, enormi buchi neri nel centro di una galassia che producono getti di materiale e lampi – come la luce di un flash – che possono puntare verso la Terra.
Ci siete ancora? Perché adesso arriva il “trucco”. Non tutti i raggi gamma prodotti dai balzar, con la giusta direzione, raggiungono la Terra. Può infatti capitare che qualcuno di loro colpisca un fotone EBL che si era venuto a trovare nel percorso. Quando succede una cosa del genere, il raggio gamma e il fotone si annullano tra loro e producono una coppia elettrone-antielettrone (un elettone carico positivamente).
Cosa ancora più interessante, i blazar producono raggi gamma di varia energia, che a loro volta vengono fermati da fotoni ELB di energia diversa. Così, ricavando quando raggi gamma di varia energia sono stati fermati dai fotoni, possiamo avere finalmente una stima di quanti fotoni ELB ci sono tra noi e i balzar più distanti. Un po’ come dire, da quanta pioggia è stata trattenuta dagli alberi in una foresta, possiamo formulare una ipotesi su quanti alberi ci siano, senza guardare in alto.
Non solo, ma possiamo vedere come il numero si è modificato. Ebbene, i ricercatori hanno appena annunciato di essere riusciti a vedere come la quantità di radiazione EBL è cambiata nel tempo. In questa ricerca, andare in direzione dell’universo lontano, è come andare indietro nel tempo. Così man mano che la ricerca prosegue, e si riescono a vedere i raggi gamma dei blazar più lontani, possiamo anche riuscire a mappare meglio i cambiamenti della radiazione ELB nelle epoche più remote. L’articolo citato riporta le misure che è possibile effettuare al giorno d’oggi, come detto, limitate agli ultimi cinque miliardi di anni.
In ogni caso, la tecnica è pronta e può funzionare anche su blazar più lontani (e ce ne sono, ce ne sono…), non appena gli strumenti di osservazione ce lo permetteranno. Un giorno potremo dunque rispondere con piena ragionevolezza anche alla domanda “ma quanta luce ha prodotto l’universo finora?”
Rielaborazione di un articolo da Universe Today. Press release originale qui.
Marco