Questo articolo nasce da un’esperienza professionale ma anche carica di emozioni che ho vissuto la settimana scorsa. Dietro invito di Cosimo Covelli, Presidente della Lipambiente onlus, ho infatti tenuto, insieme a Monica Madeo, collega e amica di lunga data, una giornata di formazione per un gruppo di volontari di Protezione Civile della Lipambiente sul tema della comunicazione nelle situazioni di emergenza. Il seminario si è svolto a Mormanno, il paese più danneggiato dal terremoto che ha colpito il Pollino a fine ottobre.
Una situazione a tratti surreale che mi ha spinta a chiedermi quali siano le problematicità e le fatiche affrontate da una persona che sceglie di fare il volontario di Protezione Civile. A volte, presi dalla rabbia e dall’orrore per terremoti e alluvioni che hanno ucciso, dimentichiamo la delicatezza e la complessità richieste a chi decide di mettere a disposizione degli altri in difficoltà il proprio tempo e le proprie energie.
Le emozioni dei volontari di Protezione Civile
I volontari di Protezione Civile (come del resto Vigili del Fuoco, agenti di Polizia, personale sanitario, etc.) sono esposti all’emergenza in modo intensissimo, non identico ma comunque simile a quello delle vittime: volontari e vittime vivono lo stesso ambiente devastato. I volontari ascoltano i racconti dolorosi delle vittime e delle vittime sostengono le speranze e assorbono le paure, oltre a offrire un supporto strumentale fatto di cibo, coperte e quant’altro sia necessario per la sopravvivenza.
Prima però di rassicurare le vittime – che sono persone a volte ferite, disperate, che hanno perso la casa o patito un lutto – prima di prendersene cura da un punto di vista concreto ed emotivo, il volontario deve rassicurare se stesso, deve essere in grado di controllare la sua paura, di trasformarla in una bussola per individuare i pericoli ed evitare così che la paura degeneri in ansia o panico, deve riuscire a vincere la sua rabbia, il suo sentirsi inutile o in colpa.
Il volontario, come ogni altro operatore di Protezione Civile, si muove in un contesto in cui è avvenuto un cambiamento sconvolgente ed è difficile fare previsioni: tollerare la tensione del presente e l’incertezza del futuro è una competenza psicologica complessa, che sta alla base della possibilità stessa di mettere in pratica abilità tecniche. Tollerare l’incertezza significa filtrare le emozioni, tante, intense, lancinanti, attraverso la riflessione. Significa riuscire a non farsene travolgere e a frapporre tra emozioni e comportamento il pensiero.
Fermare l’azione e far passare le emozioni attraverso il pensiero non sono cose semplici, ma è questo agire razionale che permette al volontario di proteggere se stesso e le persone che si propone di aiutare.
Nel dare informazioni su quanto accaduto e nel fornire supporti strumentali, i volontari di Protezione Civile cercano allora, con i piedi ben piantati per terra e lontani da sciocchi eroismi, di:
- gestire la personale reazione emotiva in modo tale da operare in modo corretto ed efficace e al tempo stesso proteggere il proprio equilibrio psicologico;
- contenere le emozioni delle vittime, come dolore, sofferenza, imbarazzo, rabbia, impotenza, disperazione;
- attivare nelle vittime quelle risorse utili a reagire in modo positivo, quella capacità di resilienza che fa rialzare e andare avanti.
Il gruppo come risorsa per i volontari
Il gruppo di volontari, la squadra, può essere il luogo in cui “ricaricare le batterie”. Il confronto con altri volontari assume un’importanza fondamentale perché permette uno scambio di esperienze e punti di vista che aiuta a non sentirsi soli o gli unici a pensarla in un certo modo.
Il gruppo è un contenitore in cui rielaborare, in maniera condivisa, gli eventi più critici, in cui trovare conforto, elogi o, se necessario, una critica costruttiva al proprio operato.
E se il supporto del gruppo non basta?
Al primo segnale di cedimento, la prima cosa fondamentale e necessaria da fare è prendersi cura di se stessi, seguendo dei piccoli accorgimenti che permettono di stare meglio (Fenoglio, 2010):
- Cercare di riposarsi il più possibile e mangiare bene;
- Non cercare di fare troppo;
- Non prendere la rabbia o la frustrazione come un fatto personale;
- Fare attenzione alla vittimizzazione secondaria e all’identificazione con la vittima;
- Lavorare preferibilmente in gruppo;
- Parlare, parlare, parlare;
- Farsi sostenere emotivamente da persone vicine.
E se i sintomi durano più di quattro settimane, meglio rivolgersi a un professionista, medico, psichiatra o psicologo.
Insomma, è dura la vita dei volontari! E ringraziarli è davvero il minimo che possiamo fare.
Per approfondire
Fenoglio M.T. (2010). Le emozioni dei soccorritori. Rivista di Psicologia dell’Emergenza e dell’Assistenza Umanitaria, 4, 46-80.
Photo credit: ZoiDivision
Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, è responsabile dell’area prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza per l’associazione PreSaM onlus. Nell’ambito dell’educazione alla salute e della peer education, ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.
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