Quante persone come Enrica Calabresi ci sono, che non abbiamo saputo scoprire e raccontare?
E' questa la domanda che mi è stata fatta ieri da uno studente - credo che si chiami Demetrio - del liceo Ariosto di Ferrara, dove, assieme ai famigliari di Enrica, la scienziata ebrea cancellata dalle persecuzioni razziali, ero stato invitato per presentare Un nome.
E' questo il bello degli incontri nelle scuole. Credi di andare a insegnare qualcosa e invece, se le cose vanno bene, finisci per misurarti con domande che non ti eri mai posto. Così torni a casa contento, perché in qualche modo più ricco.
Ognuno dei milioni di morti della Shoah meriterebbe un libro. Così ho risposto. E lo stesso potrebbe valere anche per ogni morto della Grande Guerra o della Guerra di Spagna. O per ogni persona in genere, anche morta in pace nel suo letto: ognuna meriterebbe un libro.
Però è vero, è stata una grande fortuna poter raccontare la storia di Enrica, una donna di cui era rimasto solo il nome, peraltro non collegato alle persecuzioni razziali. E quanto di lei che è comunque svanito. Ogni vita, del resto, anche la più documentata, può essere raccontata solo accettando larghi vuoti, silenzi che sono come pause nel linguaggio della musica.
Enrica è diventata un libro solo per una serie di combinazioni. I molti sono stati solo e soltanto inghiottiti dalla Storia, senza alcuna possibilità di essere richiamati dal lavoro della memoria.
Memoria che è una continua tensione tra dovere e potere. Così ho concluso: ciò che sarà possibile è poca cosa, però abbiamo sempre il dovere di provarci.