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A paventare l’ipotesi peggiore è stato il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina: “Un altro giro di elezioni con l'attuale legge elettorale ci restituirebbe un parlamento impallato e questo succederebbe con 200, 300 punti di spread in più rispetto a oggi e con la Troika a fare la legge di stabilità al posto nostro”.
L’evoluzione della crisi di governo innescata da Silvio Berlusconi con un coup de théâtre dei suoi, invitando sabato i ministri del Pdl a rassegnare le dimissioni, avrà ripercussioni inevitabili sulle tasche degli italiani. A partire proprio dal cavillo che avrebbe – in linea teorica – fatto saltare il banco delle larghe intese. Nel Cdm di venerdì sera, infatti, il premier Enrico Letta aveva congelato i provvedimenti che il governo si stava apprestando a varare, lo slittamento dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% – ormai ritenuto improbabile – da ottobre a gennaio. La minaccia di dimissioni di massa dei parlamentari Pdl (procedura lunga e difficile da attuare in tempi rapidi, ma in ogni caso una dichiarazione di intenti diametralmente opposta rispetto all’azione di governo) aveva messo Letta nella condizione di chiedere la fiducia alla Camere sulla base di un discorso programmatico e da lì, eventualmente, ripartire. Bloccate le misure economiche previste, il centrodestra ha approfittato della situazione per scatenare il caos. Stando alla nota di aggiornamento al Def, l’Italia ha superato di un decimale la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. Rientrare nel tetto massimo, questa la paura, è una mission impossible al cospetto di una crisi di governo. Non riuscirci – e c'è da approvare la legge di stabilità – significa una nuova procedura di infrazione da parte dell'Unione europea che in soldoni corrisponderebbe alla perdita dei 12 miliardi di euro di risorse finanziarie per il 2014 e il 2015. Una tegola per il Paese con tanto di tour di Letta negli Stati Uniti a convincere gli investitori stranieri che "Sì, l’Italia è affidabile", che andrebbe a farsi benedire. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, tale emergenza porterebbe gli italiani a pagare nel 2014 più di quanto prospettato.
Questione Imu: “L’onere in capo alle famiglie – scrive la Cgia di Mestre – sarebbe pari a 4,42 miliardi di euro. Gli altri 767 milioni, che porterebbero le entrate totali a 5,18 miliardi di euro, arriverebbero dalla reintroduzione dell’imposta sulle abitazioni principali assegnate dagli Iacp, sui terreni agricoli e sui fabbricati rurali strumentali e sulle abitazioni delle cooperative a proprietà indivisa. Inoltre, rispetto al 2012, i proprietari di prima casa subirebbero un ulteriore aggravio, pari a 400 milioni, a seguito dell’eliminazione della possibilità di detrarre 50 euro per ogni figlio residente”. E, ancora, sull’Iva: “L’aumento di un punto percentuale dell’aliquota ordinaria costerebbe 4,2 miliardi di euro all’anno. Il gettito a carico delle famiglie dovrebbe attestarsi attorno ai 2,8 miliardi di euro. Circa 1,4 miliardi di euro verrebbero attribuiti agli enti non commerciali, alla Pubblica amministrazione e alle imprese”. Per paradossale che sia e contrariamente ai timori di Fassina, la rimessa in ordine dei conti pubblici potrebbe passare proprio per la crisi di governo. Le nuove entrate – afferma infatti la Cgia di Mestre – servirebbero a reperire le risorse utili alla copertura, per un totale di 2,5 miliardi di euro, di tre misure fondamentali: la correzione del rapporto deficit/Pil entro il 3% su tutte (1,6 miliardi), il finanziamento della Cig in deroga (0,5 miliardi); il finanziamento delle missioni militari (0,4 miliardi).
di Fabio Germani
(anche su T-Mag)