In questi minuti, cercando materiale sulla vicenda della Sulcis, mi sono imbattuto in un ottimo articolo di Repubblica, pubblicato sul sito del FiD da Alessandro De Nicola. Ve lo riportiamo integralmente perché dà una panoramica completa a chi non conosce bene la vicenda, e offre un po’ di numeri a chi è in cerca di cifre. Buona lettura.
Quando a fine agosto il presidente della Repubblica emise un comunicato di sostegno morale ai minatori del Sulcis che si erano calati nelle viscere della terra minacciando di restarci fino alla soluzione dell’annosa questione che li vede coinvolti, ci furono due reazioni. La prima, quella ufficiale, dei telegiornali o di molti quotidiani, riferiva in bella evidenza la vicinanza del presidente ai lavoratori; la seconda, più clandestina e spesso in rete, si lamentava di quella che sembrava un’ingerenza del Quirinale in una vertenza sindacale, espressa attraverso una posizione populista a favore dei minatori il cui dramma era a tutti ben presente.
Credo che entrambe le reazioni fossero errate. Se si legge per intero il comunicato del presidente si scoprono delle parole interessanti. Il capo dello Stato intravede infatti “la necessità di un profondo ripensamento delle politiche di sviluppo seguite nel passato”. Quindi il continuo flusso di finanziamenti che ha divorato miliardi di euro è stato sbagliato. Inoltre: “Non mancherà da parte di nessuno, e tanto meno da parte delle forze del lavoro in Sardegna, la realistica e coraggiosa consapevolezza dell’esigenza di trovare per i problemi così acutamente aperti soluzioni sostenibili dal punto di vista della finanza pubblica e della competitività internazionale, in un mondo radicalmente cambiato rispetto a decenni orsono”. Eccellente. Ronald Reagan non avrebbe saputo fare di meglio, vale a dire esprimere la comprensione per la condizione dei lavoratori e delle loro famiglie, membri di quella comunità italiana che Napolitano rappresenta, ma allo stesso tempo parlare il linguaggio della verità e indicare quali devono essere i capisaldi delle future cosiddette “politiche industriali” del nostro paese.
Ripercorriamo l’amara storia delle miniere di carbone del Sulcis: l’estrazione iniziò nell’800 ma conobbe un grande impulso a partire dal 1935-1936, quando l’Italia fascista, alle prese con le sanzioni internazionali dovute all’invasione dell’Etiopia, decise di diventare autarchica e cominciò a scavare carbone (e già possiamo immaginare quanto, anche anteguerra, questa scelta fosse antieconomica). Nel dopoguerra, dopo una prima chiusura della miniera, il governo ne affidò la riapertura all’Eni investendo nel 1985 direttamente o indirettamente 712 miliardi di lire (circa 900 milioni di euro del 2012!), ma dopo 8 anni, nel 1993, non essendo successo niente, l’Eni abbandonò l’impresa. Lo stato prima (con 420 miliardi dell’epoca) e la regione Sardegna poi, intervennero, costringendo l’Enel a comprare elettricità da Carbonsulcis ad un prezzo pari al 222% di quello di mercato, costo riversato in bolletta. Tuttavia, la miniera, che produce un carbone ad alto contenuto di zolfo e quindi meno pregiato, ha un impatto ambientale negativo per l’ecosistema e le sue perdite esorbitanti continuano inesorabili: solo nell’ultimo anno 30 milioni, quasi un’inezia rispetto ai 600 milioni che la Regione ha investito dal 1996 (anno in cui è diventata proprietaria dell’impianto) ad oggi (e che attualizzati al 2012 sfiorano gli 800 milioni).
Ora che si è giunti al redde rationem la speranza sembra risiedere nella costruzione di un impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica che potrebbe godere dei finanziamenti dell’Unione Europea per circa 300 milioni. Peccato però che i 300 milioni, se concessi, verrebbero sottratti al sito di Porto Tolle vicino Rovigo e così alle proteste dei 500 dipendenti di Carbonsulcis si verrebbero a sostituire quelle dei lavoratori veneti. Inoltre, le stime sul finanziamento pubblico necessario a costruire l’opera prevedono 1,6 miliardi da suddividere in 8 anni, quindi 200 milioni l’anno, senza alcuna garanzia che la miniera diventi profittevole. Una spesa di 400.000 euro l’anno per dipendente! Ma anche ammesso che ci fossero i soldi disponibili per procedere a questa follia dissipatoria c’è chi pensa che il progetto in sé non vada bene. Il professor Sapelli avrebbe in mente una riqualificazione culturale, trasformando la miniera in un sito di archeologia industriale da far visitare a famigliole con bambini. Altri vorrebbero, basandosi sulle ipotesi contenute nel piano energetico regionale, provare la metanizzazione o il progetto del gasdotto Galsi o la bonifica delle aree minerarie e la valorizzazione del turismo e della nautica. Di fronte ad un caos di questo genere la cui unica certezza sono i miliardi del contribuente gettati al vento negli anni passati e quelli altrettanto certi che lo saranno in futuro, cosa dovrebbe fare chi ha responsabilità di governo? Prima di tutto convincersi che lo Stato aiuta e riqualifica chi perde il posto di lavoro, non le aziende decotte. In secondo luogo che ha ragione Napolitano. Qualunque scelta si compia dovrà portare a “soluzioni sostenibili dal punto di vista della finanza pubblica e della competitività internazionale, in un mondo radicalmente cambiato rispetto a decenni orsono”.