Torna incandescente il dibattito sul difficile rapporto tra l’editoria nostrana ed il colosso di Mountain View.
Costa, neo presidente della FIEG, entra a gamba tesa contro Google a partire dal suo intervento alla presentazione del libro “Informazione: istruzioni per l’uso” di Ruben Razzante [vedi video sottostante] per poi raddrizzare parzialmente il tiro con l’intervista a Il Sole24Ore di domenica.
Obiezioni prontamente rispedite al mittente da Google che ha ricordato che “invia ogni mese 10 miliardi di clic agli editori di tutto il mondo e che riceviamo di gran lunga più richieste di essere inclusi in Google News che non di essere esclusi”. L’intervento di Madhav Chinnappa, numero uno dell’International News Partnerships di Google, durante il seminar dell’Accademia Italiana del Codice di Internet riassume la posizione ufficiale sulla questione.
In questi giorni, sulla questione sono emerse posizioni da parte di diversi autorevoli personaggi della Rete che hanno sottolineato l’assurdità delle posizioni di Costa [che essendo Presidente di un’associazione non farà tutto proprio di testa sua, eh!]. Le più interessanti, a mio avviso, sono quelle pubblicate da due avvocati specializzati in diritto applicato ad internet e alle nuove tecnologie di comunicazione che in entrambi i casi denunciano l’insensatezza economica delle rivendicazioni degli editori.
Per entrare nel merito del dibattito, basandomi sempre sul detto “in god we trust all others bring data”, fundamental per DataMediaHub, ho verificato la quota di traffico da search, quindi essenzialmente da Google, negli ultimi tre mesi verso i principali siti d’informazione del nostro Paese.
Ne esce un panorama abbastanza variegato con percentuali che oscillano da poco più del 6% fino al 78%. Mediamente comunque si tratta di una quota di traffico con un peso tra un quinto ed un quarto del totale; un’incidenza sicuramente non trascurabile alla quale è difficile immaginare che le diverse testate vogliano rinunciare.
Non è un caso che la questione — che è ben distinta da quella fiscale — si riproponga ciclicamente da tempo e che alla fine tutto rimanga così com’è.
É proprio Ruben Razzante, professore di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma, a descrivere con puntualità la situazione in un’intervista concessa qualche giorno prima della presentazione insieme a Costa del suo libro in cui afferma che:
Semplificando al massimo, posso dire che assistiamo a tre fenomeni: il boom dei social network, la posizione dominante di Google e la mancanza di un modello di business per gli editori online. Partendo da quest’ultimo punto rilevo che molti editori, anziché offrire ai cronisti degli strumenti di innovazione tecnologica, in maniera miope hanno marginalizzato il lavoro giornalistico facendolo svolgere a figure che giornalistiche non sono affatto e che si limitano a fare un pedissequo copia/incolla di testi reperiti qua e là senza un vaglio accurato.
Che le redazioni web dei giornali italiani siano ad oggi ancora un’appendice di quelle destinate alla carta, sottoposte spesso a ritmi lavorativi che effettivamente, al di là delle scelte editoriali, rischiano di minare la qualità è un dato di fatto. É un dato di fatto, altrettanto, che nei casi in cui editori e Google si sono alleati [penso al caso de “La Stampa”] vi sia stato un beneficio reciproco e che il colosso di Mountain View possegga un know how tecnologico che sarebbe prezioso per le nostre redazioni.
Come scriveva Herman Hesse se temiamo qualcuno, riconosciamo a costui un potere su di noi. Il problema non sono i contenuti su Google News, che anzi apporta un beneficio in termini di traffico agli editori, ma il crescente imporsi del programmatic advertising le cui piattaforme tagliano fuori gli editori e le loro concessionarie che in prospettiva vedono così ridursi ulteriormente i già modesti ricavi pubblicitari dall’online. Lo ha spiegato con sufficiente chiarezza il direttore generale della Divisione Digitale del gruppo Espresso-Repubblica in una recente audizione alla Camera [dal minuto 23 del video].
Cambiano, sempre più rapidamente, gli scenari di riferimento ed i competitor degli editori. Non è facendo la santa crociata contro Google News, come conferma anche il dietrofront di Axel Springer, che si risolvono i problemi e neppure si migliorano le prospettive del comparto editoriale.