Molte critiche a Napolitano per la nomina dei quattro senatori a vita. Critiche soprattutto da destra, ovviamente, ma qualcuna anche da sinistra. Specificamente da destra la critica alla parzialità delle scelte. Si comincia col dire che sono eccellenti ma poi si aggiunge che sarebbero state possibili scelte diverse e politicamente più equilibrate: Zeffirelli, Muti, etc. Probabilmente sì anche se è indubitabile che la cultura, la scienza e l’arte stanno un tantino più a sinistra che a destra e che in quell’area di sinistra è più facile scegliere. Ieri a In Onda (la 7) lo affermava nettamente Gomes, ma lo confermava da altri versanti, Ventura e addirittura Bel Pietro. Con la chiosa di una alleanza interessata fra sinistra e cultura (uno scambio di favori). Ma tant’è : la dislocazione della cultura a sinistra è un fatto come è un fatto la dislocazione a destra degli uomini di spettacolo più popolari e seduttivi, a partire da quel Mike Bongiorno – ricordava Gomes – che Berlusconi avrebbe voluto senatore a vita. Insomma – riassumerei – a ciascuno la sua dote. E quella della destra apparentemente apolitica di Bongiorno, De Filippi, etc. infine pesa sulle opinioni e –per vie indirette – sulla politica un po’ più che quattro senatori a vita. C’è poi il sospetto – ragionevole – che le nomine servano a rafforzare un presunto Letta bis con altra maggioranza deberlusconizzata. Può darsi. Embè? Le precedenti nomine nella storia della Repubblica erano nomine asettiche e libere da ogni disegno? Ne dubito. La nomina dei senatori a vita è un istituto monarchico, un residuo difficilmente compatibile con la democrazia, come tanti ritengono? Lo si sostiene anche a sinistra; oggi Lerner sul suo blog, ad esempio. Tento una mia risposta. Per me solo una concezione piatta e banale di democrazia giustifica l’opposizione di principio alle nomine. Per me la concezione più banale e piatta fra tutte è quella della democrazia diretta. I suoi esiti spessissimo sono tali che: o i votanti si pentono del voto espresso o il popolo si dissolve in una frantumazione di tesi che occulti manipolatori hanno messo sul tappeto. Una democrazia compiutamente diretta insomma implicherebbe maggioranze quotidianamente variabili e una politica dell’avanti/indietro permanente. Così accadrebbe in partiti e movimenti. Se non ci fosse il “più eguale degli altri” (Grillo, ad esempio) ad attaccare e staccare l’interruttore del web. Così – quel che è peggio – accadrebbe nello Stato. La rappresentanza – fino a prova contraria –continua ad essere il punto di equilibrio fra volontà popolari molteplici e variabili. Si ipotizza – fondatamente, malgrado alcuni momenti quale quello attuale sembrino dimostrare quasi il contrario - che i rappresentanti del popolo non siano meri portavoce ma interpreti chiamati a dar sintesi e coerenza al frastagliato/incoerente. Permane comunque la minaccia dell’argomento platonico: ti affideresti a un timoniere scelto dal popolo o lo vorresti scelto da altri esperti timonieri? L’obiezione democratica è che il timoniere scelto dai timonieri posto di fronte alla scelta sacrificherebbe i passeggeri (il popolo) per salvare i propri elettori. Non si esce mai davvero dai dilemmi drammatici. Si sceglie di tagliare il nodo, sapendo che così non lo si è sciolto. Perché non si può. Il popolo non avrebbe mai scelto gli ultimi senatori a vita. Non sarebbe venuto in mente di candidarli. Se si fossero candidati in libere elezioni (che oggi non ci sono) non avrebbero prevalso su una Santanché e neanche su uno Scilipoti. Insomma la loro nomina appare un correttivo – modesto, ma comunque valido come pro-memoria – alla volontà popolare senza mediazioni. Il Presidente eletto dai rappresentanti del popolo, nomina. In qualche modo il popolo nomina. In attesa che la forbice fra rappresentanti e rappresentati si stringa e che il popolo spontaneamente dibatta se sia Muti o Abbado ad onorare meglio la Patria. Che questo un giorno possa avvenire a me sembra la giusta scommessa di una democrazia radicale. Un giorno. Oggi – prendiamone atto – il popolo non ha preso a calci quei Tizi seducenti che hanno chiesto quanto costerà allo Stato la ipoteticamente lunghissima permanenza al Senato della troppo giovane ricercatrice (51 anni). Io, da matematicamente sprovveduto, non ho neanche capito quale sia la differenza di costo fra 50 anni di stipendio per una giovane o di 25 anni per 2 meno giovani destinati l’uno a subentrare all’altro. E’ un fatto però che segnala l’egemonia culturale di una destra, pur povera di intellettuali, che oggi i blog, oltre che i giornali del perseguitato, siano piene di contumelie per lo spreco di denaro pubblico che le nomine senatoriali comportano. Nell’economia della brava massaia questo è un costo. Non è un costo l’evasione fiscale del padrone di Mediaset. Ancora più difficile spiegare ovviamente il costo connesso a quella operazione criminale che ha potuto costruire fondi per comprare pezzi di Parlamento, già riempito di odalische e analfabeti.
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