Poche ore fa ad Alessandro Sallusti sono stati confermati i 14 mesi di reclusione senza condizionale per diffamazione. La Corte di Cassazione ha negato al direttore dimissionario del Giornale anche le attenuanti generiche. Non so se ci siano le condizioni per esclamare “giustizia è fatta” oppure “sentenza scandalosa”; e poco mi interessa. Penso invece che si possano fare alcune considerazioni su “punti logici di massima”, sui quali poi essere d’accordo o in disaccordo, utili a dedurre la bontà o la tossicità della sentenza.
L’articolo 21 della Costituzione Italiana tutela “il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Esiste però anche il contrappeso di dover tutelare da offese gratuite, calunnie e diffamazioni. Nella specificità dei professionisti dell’informazione, idee, pensieri e parole diventano strumenti tecnici di lavoro, che devono essere caricati di una responsabilità e un peso senza i quali competenza e professionalità decadono. In tal senso, un direttore responsabile di una testata giornalistica di rilevanza nazionale non può e non deve essere equiparato a un ubriaco che sproloquia al bar. Ciò che dice o scrive ha maggiore peso.Io da questo blog potrei affermare che tu che stai leggendo, sì proprio tu con nome e cognome, spacci droga ai bambini di una scuola elementare e a quelli che non hanno soldi per pagare metti le mani nelle mutande. È evidente che tu potresti denunciarmi, ma è altrettanto evidente che sarebbe ben più lesivo e quindi punibile se lo facessi scrivendo un editoriale sulla prima pagina di un quotidiano nazionale, mezzo che graverebbe del peso della attendibilità la mia affermazione.
Non bisogna confondere sbrigativamente il diritto di cronaca e di critica con un inesistente diritto di offesa o calunnia. Trattandosi di una questione tecnica di libertà d’espressione giornalistica, questo è quanto riportato nel sito dell’Ordine dei Giornalisti, alla voce Diffamazione a mezzo stampa.Non so se Sallusti meriti il carcere. So però che in questi giorni leggo tanti colleghi accorrere in difesa di Sallusti, in nome di una lesa libertà di opinione e parola. Se un direttore si fregia dell’aggettivo responsabile, del prodotto che esce dalla fabbrica è responsabile. E il prodotto in questione è un insieme di pagine con tante frasi scritte, nelle quali non dovrebbe essere concesso l’imprimatur in presenza di considerazioni diffamanti. Se una sola persona non riesce a garantire la copertura del “controllo di qualità interna”, si delega questa responsabilità a più persone. Fatto sta che se da una fabbrica di orsacchiotti ne uscissero alcuni con molle arrugginite che vanno a conficcarsi negli occhi di un bebè, nessuno accetterebbe come giustificazione un “io da solo non riesco a controllare tutti gli orsacchiotti”. Lo stesso atteggiamento si dovrebbe avere con il prodotto “carta stampata”, a meno che non si voglia abbassare un organo di informazione al livello di un volantino anonimo attaccato al tergicristalli dell’auto.
L’Ordine dei Giornalisti, in tal senso, dovrebbe avere come ragione d'esistere la tutela dei lettori, ovvero i clienti, attraverso la salvaguardia della qualità del prodotto, e non la sola difesa dei propri iscritti. Altrimenti l’iscrizione all’Albo serve solo a far distinzione tra chi spara cazzate da posizione privilegiata e chi da in mezzo alla calca.
Anche l’obiezione che dover pagare col carcere un’eventuale condanna per diffamazione sia una pena sproporzionata, mi pare un’obiezione… distratta. Infatti si è arrivati a questo punto perché precedenti passaggi dell’iter processuale, consistenti nel patteggiamento di una pena pecuniaria, sono stati snobbati dall'imputato.
Insomma, non conta sapere se Sallusti debba andare in carcere. Sono altre le domande generali, per non ridurre la vicenda alla solita contrapposizione da ultrà, se il direttore del Giornale sia un martire della censura o un privilegiato della diffamazione.Un giornalista, in quanto professionista dell’informazione, è responsabile di come lavora, o può ritenersi libero di dire e scrivere tutto ciò che gli comoda, anche offendendo o diffamando?Un imputato che rifiuta soluzioni meno traumatiche e che alla fine si ritrova addosso una condanna al carcere, è uno che fin dall’inizio sperava di farla franca in stile non esiste che io debba renderne conto, o sta subendo una pena incongrua piovuta dal cielo dalla notte all’alba?Ci poniamo il problema se sia corretto che in ultima istanza un giornalista rischi il carcere per diffamazione o la questione è che, comunque sia, un giornalista non debba mai andare in carcere per diffamazione? In quest’ultima ipotesi, chi ha alle spalle il fondo cassa dell’editore può scribacchiare offese o falsità verso chicchessia, intanto il carcere non lo rischierà mai?I giornalisti detengono il grande potere (pare il quarto) dell’informazione, ma come per molti altri poteri valgono soltanto i privilegi e mai le maggiori responsabilità? Potenti penne su scranni in prima pagina quando fa comodo e vittime del bavaglio carcerario della censura quando fa ancora più comodo?
Penso che la professione di giornalista, se fatta bene, possa essere tra quelle di più alta dignità e servizio sociali. Però l’esistenza di un Ordine e relativi albi, deve tutelare anche i lettori sulla differenza di assunzione di responsabilità tra ciò che una persona qualsiasi può sbraitare in piazza o allo stadio e ciò che un giornalista deve garantire con la propria professionalità.
Conta il principio: di credibilità. Conta arrivare a stabilire, almeno sulla carta, se i giornalisti sono una potente categoria di servizio o una lobby di potere, nella quale i cani si abbaiano l’un l’altro, ma alla prova dei fatti non si mangiano mai tra loro.Il caso Sallusti è marginale, quasi ininfluente.
K.