In fondo ciò che ci fa restare incollati alle pagine di un romanzo è proprio la curiosità di sapere "cosa viene dopo" e, al contrario, la principale causa di noia è quando si intuisce troppo facilmente il proseguo o quando non c'è il minimo interesse a conoscerlo.
E qui gioca la capacità dello scrittore di fornire al lettore i vari pezzi del puzzle al momento giusto. Anche se non tutte le storie sono fatte di segreti e misteri da svelare, per tutte è importante che il lettore si ponga continuamente delle domande mentre legge, in base a quello che sa o non sa, e abbia una gran voglia di scoprire il resto.
L'autore deve riuscire a dosare indizi e informazioni, perché se comunichiamo tutto quello che sappiamo subito, chi legge non avrà molto interesse a sapere altro, ma se lasciamo troppe ombre non avrà abbastanza materiale per essere curioso o sufficiente legame con i personaggi per identificarsi con loro.
Quanto rivelare, dunque?
Quando si introduce la storia è importante fornire tutte le coordinate necessarie affinché il lettore capisca chi è il protagonista, qual è il suo obiettivo, qual è il confitto principale. Sono queste informazioni essenziali per suscitare un primo interesse. In questa fase però dovremo anche nascondere qualcosa, perché:
- il protagonista non lo conosce
- decidiamo di nascondere di proposito qualcosa al lettore.
Alfred Hitchcock sosteneva che se lo spettatore sa poco è anche poco coinvolto. L'incertezza sul futuro diventa molto più importante se chi assiste a una vicenda (non importa se su uno schermo o sulla pagina di un libro) conosce determinati fatti. Come esempio Hitchcock portava quello di una bomba che è stata messa sotto un tavolo e potrebbe esplodere da un momento all'altro (potete vederlo anche in questo video: Cos'è la suspense).
"Mi rifaccio a una vecchia analogia, quella della bomba. Tu ed io stiamo seduti qui a parlare. Una conversazione banale, del tutto priva di significato. Noiosa. Improvvisamente, bum!, esplode una bomba. Il pubblico rimane scosso - per quindici secondi. Proviamo ora a cambiare metodo. Giriamo la stessa scena mostrando che la bomba è stata collocata in un luogo preciso. Facciamo vedere che esploderà all'una in punto. Ora è l'una meno un quarto, poi l'una meno dieci - inquadriamo un orologio appeso al muro, poi torniamo sulla stessa scena. A questo punto, la nostra conversazione diventa di un interesse vitale, nella sua estrema banalità. Dai, guarda sotto il tavolo, cretino! Ecco che il pubblico, anziché essere sorpreso per quindici secondi, partecipa attivamente per dieci minuti".In pratica, un lettore che non conosce granché sui protagonisti o su ciò che li riguarda è disinteressato a loro.
La curiosità perciò va anche mantenuta nel corso dell'intera storia, disseminando il percorso di indizi, dubbi, questioni irrisolte. Dobbiamo fare in modo di suscitare continuamente nuove domande, per non far calare l'attenzione. Quando facciamo qualche rivelazione o sciogliamo un conflitto, dobbiamo badare a crearne allo stesso tempo di nuovi. E' molto improbabile infatti che si possa mantenere alta la curiosità su un unico mistero da svelare o la tensione su un unico conflitto. C'è bisogno di attizzare continuamente il fuoco.
Un metodo che uso per questo è appuntarmi tutte le domande che un lettore potrebbe farsi capitolo per capitolo e accertarmi di risolverle man mano, approfondirle e possibilmente complicarle per alzare la posta. Fino alla risoluzione di tutto...
Un grande pericolo, nel gioco del dire e non dire di uno scrittore, è quello di esagerare con le informazioni e lasciare così il lettore senza interesse a scoprire altro o addirittura frastornato e confuso. Un errore è per esempio quello di sviscerare subito il passato del protagonista, magari persino dal primo capitolo. Anche se la sua storia personale è di grande rilevanza (in fondo lo è sempre) perché condiziona il presente e il futuro, non per questo bisogna dedicarle pagine e pagine fin da subito, meglio centellinarla con qualche flashback qua e là, qualche allusione nei dialoghi, lasciando possibilmente sempre qualche ombra da illuminare più in là.
E a proposito di dialoghi, anche qui il rischio è di esagerare con il dire. Mi lasciano sempre molto infastidita quegli scambi (soprattutto nelle serie televisive) che puntano a riassumere dei fatti o a informare di qualcosa, risultando di fatto irreali e sgradevoli. Il bravo autore qui si riconosce nell'abilità di mescolare un tono naturale di conversazione con ciò che vuol trasmettere a chi assiste al dialogo.
Dire troppo può significare anche sommergere il lettore di fatti non rilevanti. Anche se abbiamo intenzione di depistarlo, non è corretto attirare la sua l'attenzione su dettagli che poi nella storia non avranno alcun peso.
Anche riguardo alle spiegazioni necessarie (quelle che non possiamo mostrare ma solo raccontare) dovremo andarci piano e dosarle con il contagocce. Questo è per esempio un nodo cruciale per me, perché ci sono chiarimenti necessari a un certo punto e ho sempre paura di appesantire la lettura.
Tutto questo non è valido solo per specifici romanzi che fanno del loro cuore i misteri, come i gialli, ma per tutti i generi.
In definitiva, non credo che esistano formule per stabilire quanto e dove dire qualcosa, forse si può usare l'intuito e procedere per tentativi. Nel romanzo che sto scrivendo mi è capitato di tornare più volte indietro per togliere informazioni e porle più avanti, rendendomi conto che rivelando troppo lasciavo poca suspense e poco spazio per rivelazioni future. Al contrario, proseguendo con la storia, ci si può anche accorgere che c'è bisogno di un po' di anticipazione per rendere più credibile ciò che viene dopo.
E voi vi ponete mai il problema di quanto rivelare al lettore?
Anima di carta
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