MAGGIORI POSSIBILITA’,PIU’ VELOCITA’,INFINITI SERVIZI PERLOPIU’ GRATUITI. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui le tecnologie e il web 2.0 hanno iniziato a far parte sempre di più della nostra vita, fino a permearla completamente e, spesso, cambiandone anche la forma. Maggiori servizi e flussi di informazioni significano però anche maggiori strutture, con un incremento notevole dei costi per le aziende che le gestiscono. Per farsi un’idea basta guardare i server di Facebook in Lapponia oppure scoprire qualcosa in più su quelli di Google negli Stati Uniti. Ma se il servizio è sempre gratuito come si mantengono queste aziende? Dove trovano i fondi per supportare le crescenti attività e le sempre maggiori richieste? L’uso dei dati è la nuova frontiera del profitto. Sempre più numerosi sono infatti i casi in cui emerge una speculazione riguardo l’utilizzo dei dati degli utenti, a volte a causa dell’inconsapevolezza di questi ultimi nell’uso delle tecnologie, a volte a causa di comportamenti spregiudicati da parte di aziende o istituzioni.
FACEBOOK & CO. Dichiarandosi molto attento a questo aspetto, Facebook ha fornito maggiori informazioni a riguardo, esplicitando come il suo business-model sia basato sulla pubblicità. Nel 2012 Facebook ha fornito delucidazioni su “alcuni modi in cui hanno progettato” l’impianto pubblicitario. In particolare, il social network ha impostato i diversi ads in modo che a ogni utente appaiano contenuti pubblicitari in linea con i suoi gusti e abitudini. Vi sono due sistemi ideati da Facebook che meritano una breve descrizione. Il primo è Facebook Exchange e si occupa di mostrare gli annunci in tempo reale. Questo sistema – basato su hashes, brevi stringhe di testo – prevede che a ogni utente sia collegato un ID, codice identificativo che non ha nulla a che fare con quello del profilo, ma che è legato al browser da cui il detentore del profilo si collega. Ogni volta che un utente si connette da quel determinato browser viene inviata una notifica al fornitore dei servizi che risponde con una data pubblicità. Il secondo vede Facebook spostarsi dalla nostra vita online a quella offline. Attraverso l’accordo stretto con Datalogix, il social network più conosciuto del mondo aiuta le aziende a capire se la pubblicità sul web sia davvero utile ad aumentare le loro vendite e fa questo raccogliendo informazioni attraverso l’uso della carte di credito dai negozi convenzionati. Secondo quanto contenuto all’interno della nota firmata da Joey Tyson, Privacy Engineer di Facebook, le aziende da cui acquistiamo prodotti possono fare pubblicità personalizzate all’interno delle piattaforme che usiamo grazie ai dati che noi forniamo loro quando acquistiamo qualcosa. In tutti i casi, Facebook dichiara che il primo degli obiettivi è sempre quello di mantenere alta la fiducia degli utenti. E definisce la propria pratica come “win-win”, sostenendo che ne guadagnino tutte le parti in causa (gli utenti e le aziende).
PRISM, il programma di sorveglianza statunitenseNON SOLO PUBBLICITA’. Casi come quello di Edward Snowden – intervenuto a Milano durante il recente Wired Next Festival – testimoniano come le informazioni che affidiamo al web non siano solo utilizzate a scopi, per così dire, di lucro. Infatti gli USA hanno accumulato innumerevoli informazioni, attraverso PRISM, il programma di sorveglianza statunitense – classificato come di massima sicurezza – e affidato all’Agenzia di Sicurezza Nazionale (NSA). Secondo le dichiarazioni rilasciate ai tempi dello scoppio del caso (metà 2013), il programma aveva accesso a dati di gran parte del traffico internet mondiale, comprese email, chiamate, video condivisi privatamente dagli utenti. A due anni di distanza arrivano nuove notizie proprio riguardo alle intercettazioni. Infatti, Il Sole 24 Ore ne scrive nuovamente in questi giorni, facendo riferimento alla cinquantina di pagine pubblicate dal portale The Incept, dalla cui lettura emerge chiaramente “la volontà di entrare nella vita dei cittadini (e spiarne ogni mossa) attraverso le vulnerabilità delle applicazioni presenti nel Play Store di Google e nel Samsung Apps”, come dice Simonetta Biagio, nell’articolo del quotidiano.
PROVE E REGOLAMENTI. In Italia, nell’ottobre 2014 la Commissione Diritti e Doveri di Internet, guidata da Stefano Rodotà, ha proposto una Magna Charta di Internet che cita i diritti considerati imprescindibili, quali il diritto di accesso, quello all’oblio, alla riservatezza. Durante la stesura è emersa chiaramente la volontà di preservare il diritto alla libertà che – secondo il Giurista Nicola D’Angelo – pare sempre più in pericolo, anche attraverso le regole adottate in particolare dagli USA per mantenere la cosiddetta sicurezza pubblica. Il lavoro è poi proseguito per alcuni mesi, senza però raggiungere risultati significativi. Durante le concertazioni, l’Istituto Bruno Leoni nell’ambito della Consultazione Pubblica sulla Carta stessa ha effettuato alcune osservazioni e ha fatto presente alla Commissione come i contenuti della Carta risultassero ridondanti e ha concluso consigliando all’Istituzione nel suo complesso di “professare una sana ‘umiltà regolamentare’, riconoscendo che il successo di Internet dipende da un’evoluzione spontanea e libera da poteri forti”.
Free Your DataCAMPAGNE DELLA SOCIETA’ CIVILE. Le note di Facebook non sono abbastanza per fare stare tranquilli gli utenti che invece succede che si mobilitino, organizzando campagne dal diverso impatto ma più o meno sempre con lo stesso obiettivo: sistematizzare la protezione dei dati sul web, cercando – al contempo – di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla mancanza di conoscenza dell’argomento. Eccone un paio. La prima, Free Your Data, nasce dall’idea di una startup tedesca -Protonet- con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’uso che governi e grandi aziende fanno dei dati che ogni giorno creiamo attraverso il nostro uso del web. Gli attivisti sostengono che l’obbligatoria accettazione dei termini di politiche e privacy sia il meccanismo che da il via al domino che ci rende tracciabili e tracciati attraverso le azioni che compiamo sul web. Free Your Data definisce i dati come il “nuovo petrolio” e suggerisce la necessità di un nuovo approccio riguardo al trattamento di quelli che nascono come nostri dati. Parte della causa è scaturita proprio dall’analisi del progetto PRISM. Obiettivo ultimo è creare una proposta di legge che migliori la possibilità dei singoli cittadini nel poter controllare come, chi, cosa e quando condividere i propri dati. In sintesi, completa trasparenza in tempo reale e pieno accesso ai dati per ogni individuo. Questa non è l’unica iniziativa nel suo genere. Oltre FYD c’è, ad esempio, The Web We Want. Dall’approccio più orizzontale e con una importante attenzione al digital divide tra nord e sud del mondo, The Web We Want nasce nel 2014, l’obiettivo è difendere l’esistenza del web, la libertà e la parità al suo interno, la possibilità di avervi accesso continuo. Pur toccando più marginalmente – rispetto a FYD – la questione della sicurezza dei dati, si esprime a favore della protezione del diritto alla privacy nella comunicazione online. L’iniziativa ha alcuni partner significativi, tra i quali spiccano Mozilla, World Wild Web Fundation e Global Partners Digital.
In che direzione andare?
Ci sono tentativi di regolamentazione, campagne, informazione. Ma allora, perché non si riesce a uscirne? Perché la situazione sembra continuamente sfuggirci di mano? Evgeny Morozov ne ha parlato al recente festival organizzato da Wired. Numerose sono le forze in gioco, le parti di cui tenere conto, gli interessi da tutelare, tra cui la privacy dell’utente ma anche la sua libertà di muoversi liberamente per il web. Forse, come ha suggerito Snowden, sarà necessario studiare tecnologie ad hoc per difenderci dalla tecnologia.
>Fonte<
Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org