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In questa città ogni giorno c'è qualcosa da fare musicalmente parlando: nuovi gruppi prendono vita in vecchi pub che sanno di birra e whiskey, i Foo Fighters organizzano un concerto segreto da qualche parte, Jamiroquai passa al pub con la sua Aston Martin d'epoca e canticchia con te "Virtual Insanity".
Non sai mai quello che può capitare, musicalmente parlando e non, a Londra.
In questa città il mio mecenate diverrebbe povero, perché io ogni sera sarei li a chiedergli un 50 pounds per biglietto e varie ed eventuali bevutine pre-durante-post concerto.
Ma c'è un ma.
Un grandissimo, pesantissimo, spiacevolissimo "MA" che incombe su ogni concerto che vorrei vedere.
Londra sarà la città più concertosa di tutta la landa Albionica, ma qualcuno dovrebbe spiegare a questi benedetti inglesi come ci si comporta ad un concerto.
Questa settimana ho fatto la figa, e sono andata a vedere tre concerti.
Ora sono morta, senza soldi, con le orecchie che mi fischiano, mai stata così felice. MA, tutte e tre le volte, c'era qualche inglese che mi rompeva le palle.
Il problema fondamentale è l'apatia che regna sovrana nelle menti degli inglesi: ai concerti restano immobili. O si abbracciano con le fidanzatine. O limonano. O parlano, discutono. O flirtano.
Sembra che della musica a loro non interessi poi più di tanto. Sembra che siano in discoteca. Con dei tizi che suonano sul palco, che possono essere anche ignorati.
L'altro giorno parlavo di questo problema legato alla nullafacenza durante i concerti con un albionico.
Lui mi disse: "Forse è che siamo così abituati a stare in coda nella nostra vita, che quando vediamo qualcuno davanti a noi ci sembra di stare ancora in coda, e così stiamo fermi immobili."
Io gli ho detto che, anche se gli inglesi a fare le code sono bravissimi e rispettosissimi, ai concerti dovrebbero darsi una sonora botta di vita, e cominciare a muoversi.
Non dico tutto il corpo, eh. Ma almeno non so, un mignolo.
Dopo il terzo concerto di fila in una settimana, e dopo aver visto un solo pazzo inglese che cercava di pogare (al concertone dei Foo Fighters. Uno solo. E poi io e la sorella Petulans che saltellavamo come pazze.) ho capito che gli inglesi ai concerti mi infastidiscono, mi ispirano della violenza gratuita.
Mi verrebbe da picchiarli e spintonarli.
Ed è nata così (dopo il terzo concerto e un tizio che si gira e mi dice: "Ma che cosa ti sei presa per saltare così?") la classifica più fastidiosa che sia mai stata stilata nella storia delle classifiche: un insieme di comportamenti che annoierebbe anche il fan meno accanito di musica, una classifica che odiereste e odierete dalla prima all'ultima posizione, o viceversa.
Sono lieta di presentarvi: "Quattro salti in apatia - Classifica ufficiale dei livelli d'apatia inglese ai concerti."
Poi se pure voi siete di quelli che limonano ai concerti, beh, è giunto il momento di smetterla. Come si dice qui: "Get a room."
E non limonate davanti a me che voglio ballare.
Posizione numero 4: lo stronzo impalato.
Gli inglesi, si sa, sono alti. Più alti del dovuto. Altissimi.
Ora pensate a me, piccola italiana, molto piccola grazie ai miei 160 cm, che mi faccio spazio con tutte le mie energie spingendo e sgomitando per arrivare più avanti possibile, sotto il palco, per cercare di vedere qualcosa.
Una volta trovato il mio posto, con molta fatica e assai soddisfatta, inizio a bere la mia birra felice e contenta. E poi in quel momento, eccolo li, arriva lo stronzo impalato.
Lo stronzo mi si piazza proprio davanti, alto 1.80 e anche di più, con la sua giacchettina Barbour puzzolente. E poi sta fermo. Fermo. Impalato. Piazzato davanti a me come un blocco di cemento armato, immobile per tutta la durata del concerto.
Non muove nemmeno la testa. Manco un dito della mano. Non beve, non parla, non trasmette emozioni. E si gira quando tu stai cantando o saltando a tempo, con sguardo gelido.
Roba che ti viene da chiedergli se è morto oppure se è, che so, sonnambulo. E si trova solo nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Posizione numero 3: la coppia al Vinavil.
Io ai concerti con i miei ex ragazzi ci sono andata molte volte. Si.
Ma c'era una regola che vigeva dal momento in cui si entrava al concerto, al momento in cui tutti finivano di applaudire e il gruppo se ne andava e io finivo la mia centesima birra: non ci si abbracciava. Ne ci si teneva per mano. Ne si limonava.
Io non ci riesco. Io devo ascoltare, devo ballare, devo cantare, devo applaudire.
Io non bacio ai concerti. Io non sto abbracciata immobile per due ore al mio ragazzo.
Io me lo vivo, un concerto.
In Albione le cose funzionano diversamente, le coppiette ai concerti passano tutto il tempo avvinghiati manco fossero appiccicati con il Vinavil. Che potrebbe anche andare bene ad un concerto di Celine Dion, e guardiamoci nelle palle degli occhi mentre lei canta "My heart will go on and on", ma se andiamo a sentire un concerto rock, non ci siamo.
La coppia al Vinavil si comporta come segue: lui l'abbraccia da dietro, e poi lei si gira e lo bacia, e poi lui (normalmente alto) si fa strada tra tutti tenendola stretta e si piazza davanti a te, formando la coppia di stronzi impalati. Che tra l'altro ogni due minuti si mettono li a slinguazzarsi, e poi parlano, e poi, dopo aver passato un'ora davanti a te a stimolare i tuoi istinti omicidi, lei dirà: "Andiamo?" Limoneranno, e prima della fine del concerto saranno a casa a fare all'amore.
Dove dovevano essere anche un'ora e mezzo prima, senza proprio venirci, al concerto.
Posizione numero 2: vento d'ormoni.
Il provolone da concerto.
E' lui, quello che si mette a parlarti proprio nel momento dell'apertura del concerto, quando la band sale sul palco e comincia a suonare.
Lui, che ti chiede vita, morte e miracoli della tua esistenza. Solo che la band suona, e tu non senti, e continui a dirgli: "COSA DICI? EH?! COME?" E passate il tempo a urlarvi nelle orecchie stronzate che a nessuno dei due fondamentalmente interessano. E lui continua a parlare e parlare e tu ti chiedi perché, perché proprio ora?
E poi dato che tu dopo un po' non gli parli più, anche perché nel frattempo hai un timpano perforato, lui si gira e va dalla tua vicina, o da quella davanti a te, e comincia a parlare parlare, e le chiede cose, e le offre birre, e poi toh, ma guarda: limonano.
Posizione numero 1, quella da cazzotto in faccia: il grande oratore, la grande oratrice.
Sono quelli che parlano, non fanno altro che parlare, urlando, perché non si sentono sennò.
E parlano sopra alla musica, discutendo di cose che, in quel momento, dovrebbero essere totalmente dimenticate, scordate, messe da parte: chiacchierano di lavoro, delle vacanze, della vita, dell'amore, delle serate, del quantitativo di birra ingurgitato, del fatto che nel 1995 in questa stagione c'era il sole, del sabato sera in discoteca, del fatto che "Oggi in banca c'era veramente freddo. Devono aver spento il riscaldamento. Ma per fortuna abbiamo le stufette. E poi tra poco cambiamo ufficio. Ah, e poi quel colloquio com'è andato? No perché ora io vado in questo posto a fare un colloquio e mi chiedevo se..."
E poi una voce, dal basso, con accento italiano, dirà: "Ragazzi, ma perché non state zitti e ascoltate la musica, eh? Non è amazing? Dai, piantatela."
E loro, dopo avermi guardato acidamente, se ne andranno, scocciati, a discutere delle loro cose davanti al bar, scordandosi la musica e lasciandomi finalmente in pace, ad ascoltare il mio concerto e a ballare spingendo e urtando sia la coppia al Vinavil che lo stronzo impalato.
Sono sicura, però, che i colleghi dei grandi oratori mi saranno riconoscenti per un giorno almeno: finalmente parleranno di qualcosa di divertente in pausa pranzo.
Perché sinceramente, l'annosa questione delle stufette negli uffici ha sonoramente rotto i maroni, eh.
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