Questo lavoro non è nemmeno cominciato.
E tantomeno verrà concluso.Nessun lavoro è mai realmente concluso, quando si tratta di riesumare vecchi dischi rock.In parte perché tuttora, ogni giorno, ne emergono di nuovi; sul web, sui social, in negozi virtuali e non, ripescati da archivi discografici sotterrati, da paesi equatoriali e in apparenza improbabili, se non dai meandri dello sterminato mercato nord americano.In parte perché è l'epoca stessa dell’ascolto che ne cambia la prospettivae addirittura la consistenza artistica. Ascoltare gli Highway Robbery nel 1973 poteva essere quasi noioso. Oggi, dopo qualche decennio di pop sintetico e teen idol, in piena epoca di risveglio, apogeo e crollo revivalista, Bad Talk dei Granicus o Persecution dei Third Power (tanto per citare qualche nome di U.S. Hard Rock Underground) potrebbero addirittura diventare dei classici. La stessa cosa si può dire per i Maneige, o per un capolavoro come Dimension “M”.A titolo di "introduzione" bastino alcune righe estrapolate da un testo più ampio, che chissà mai se troverà spazio qui sul blog.***Julian Cope ha avuto certo il merito di codificare, una volta per tutte, il kraut rock e l’avanguardia giapponese come movimenti unitari, consapevoli, innovativi e non meramente derivati da modelli anglo-americani.La scena del progressive underground italiano ha trovato e trova tuttora (vedi l'ultima collana in "regalo" con l'Espresso) una propria solidissima strada alla riesumazione e glorificazione. Ed ecco che le tre grandi scuole di prog - o meglio di rock, per non essere troppo restrittivi - “non anglofone”, italiana, tedesca e giapponese, sono ormai sdoganate e riconosciute per il loro reale valore artistico e storico.Eppure c'è una quarta, solidissima ed originale scuola nazionale, anzi regionale - se non addirittura metropolitana - ancora tutta da scoprire: il “Quebec Prog”.Fiorito in una nazione, il Canada, che ha dato i natali ad alcuni grandissimi, pur presto emigrati negli USA per farsi un nome, si è in breve tempo arroccato e radicato come pura tipicità locale, senza troppe intromissioni o interferenze coi colossi musicali yankee.Sorto in una regione francofona, il Quebec appunto, dallo spiccato senso di indipendenza ed appartenenza, un territorio che nei primi anni ‘70 contava appena 6 milioni di abitanti, per la maggior parte residenti nell’area urbana di Montreal, è dal punto di vista geografico un movimento ancora più coeso delle 3 scuole sopra citate e forse più affine ad una Canterbury boreale che ad un movimento di estensione nazionale e forzatamente frammentario. Anzi questo suo essere espressione pura di una minoranza linguistica e culturale ne ha accentuato i caratteri distintivi e l’autoconsapevolezza, creando una breve ma intensa parabola, terminata, come accade di solito, in una fase di stanco manierismo, che caso vuole sia spesso la più celebrata.Non pretendiamo il completismo, nè certo l’(auto) pubblicazione.Sarebbe sufficiente segnalare alcuni ascolti veramente interessanti, legati l’un l’altro da un sottile filo rosso geografico, sociale e temporale, oltre che musicale. Ad altri il giudizio, qui ci accontenteremo della descrizione.