il seguente racconto può contenere scene di sesso/violenza/turpiloquio/droga/razzismo o scene che possano minare in qualche modo la sensibilità di un pubblico minorenne. La lettura è quindi destinata esclusivamente ad un pubblico adulto
QUEGLI ALLOCCHI DI HANSEL E GRETEL
La stanza di questa settimana è proprio uno schifo.La carta da parati è tutta gonfia e bucata là dove dovrebbe esserci il battiscopa. Certo, ho potuto notarlo solo appena entrata, perché subito questo bufalo sudato da capo a piedi mi è saltato addosso. Va bene tutto, ma uno che ti scopa mentre suda e fuma la pipa è assurdo.
Mentre la sua testa appesa al collo taurino fa avanti e indietro, in mezzo alle zaffate di fumo, guardo il soffitto: noto che non hanno neppure messo il lampadario, ma un pezzo di cartone intorno alla lampadina; l’appartamento di sopra ha una perdita evidente che trapassa e ingiallisce. Non voglio neanche pensare al bagno.
Non sono mai stata una con tante pretese. Vivere in campagna con la paga di un padre falegname a ore e due figli a carico ti prepara bene a una vita di merda; ma non avrei mai pensato a una merda così grossa, ecco.
E dire che ci abbiamo provato, io e Hansel, a migliorare il nostro misero destino. In molti modi, sia nel nostro paese che qui in Italia. Sono passati solo tre mesi dalla nostra partenza, ma devo ammettere che la nostra stamberga e la campagna mi mancano da morire, non solo a causa dell’inferno in cui siamo capitati; mi mancano come possono mancare i colori a un cieco, l’aria a un asmatico in crisi. E pensare che è stato papà a metterci nelle mani di Rafel. Non siamo proprio finiti nell’agenzia di viaggi che ci avevano promesso, vero? Non poteva certo sapere che il migliore amico del suo migliore amico è un figlio di puttana, che spaccia droga e gestisce tante minorenni albanesi. Si è fidato, papà, e noi ci siamo fidati di lui.
Il bufalo ha aumentato il ritmo e la cenere della pipa gli sta cadendo tutta sui peli unti del petto… ma chi l’ha cagato quest’orco!
Sembra ipnotizzato dalle mie tette, posso capirlo. Dei rivoli di sudore gli scivolano sulle guance sempre più rosse; grazie al cielo agli odori ho smesso di far caso appena iniziata la prigionia.
“Aaaaooohhhh” Eccolo il grido rauco, finalmente sta venendo. Nella foga mi ha inondata di cenere e braci. Sono scottata, cazzo. Mi divincolo, salto in piedi sul letto e gli urlo offese nella mia lingua, ma lui sembra sordo. Getta il profilattico per terra e si riallaccia i pantaloni ruttando nella mia direzione. Ecco cosa succede a grattare il fondo… se si è così in basso ma vivi e in salute, non rimane che ridere, ed è esattamente quello che faccio. Rido e gli do dello stronzo malnato mentre se ne esce riaccendendosi quella fottuta pipa. E per fortuna che scopare mi è sempre piaciuto!
Mi rivesto in fretta, scendo e vedo subito l’auto dello zoppo. C’è vento e le strade sono deserte.
Salgo e lui mi passa una sigaretta accesa. Una sigaretta truccata. Brutto basso e zoppo Goran è gentile con me, ma è un mio carceriere.
Partiamo in direzione della villa, attraversiamo tutta questa grigia e vuota periferia milanese fatta di lampioni a singhiozzo e palazzi con intonaci marci. Stasera non ho ancora finito, mi manca un appuntamento.
Io non so come possano riuscire a renderci così schiavi, fatto sta che sembrano tutti d’accordo. L’Italia nelle pubblicità è sempre stata tanto attraente… le immagini con le sculture e con quel sole accecante, il mare bello… e invece ho trovato solo la villa, Rafel, lo zoppo e i clienti; e sembrano tutti d’accordo a farmi marcire qui, dannati.
Mentre Goran mi dice che il Pipa è rimasto contento, che è un personaggio di spicco nell’edilizia, io penso al mio paese e piango. Senza lacrime ma piango. La droga comincia a fare effetto.
Mi sembra ci sia una macchina che ci segue. Papà, dove sei? Hansel, a te che hai muscoli così belli, cosa è toccato?
Voglio tornare a Berat.
———
L’ho vista salire su quel carro da morto. Come fanno ad amare questi oggetti, gli italiani?
Lo chiedo a Carlo, che si tiene a due auto di distanza.
“Boh, chi vuole fare il figo c’ha quella macchina… è una moda” risponde.
“Cos’è figo?”
“Alla moda”
“Ok, da noi c’è Golf”
Carlo mi guarda storto e continua a guidare.
Tre mesi che non vedevo Gretel, e il suo profilo, le sue spalle coi capelli sciolti sopra, mi hanno illuminato nel tempo di un secondo; la sua bellezza percepita nell’attimo in cui saliva in auto mi ha dato il coraggio di finire quello che sto facendo, di arrivare in fondo.
L’avevo capito subito che Rafel era uno stronzo, ma troppo tardi, ero già nella sua villa qui a Milano.
Gretel l’hanno portata via subito, io invece ho fatto amicizia con lo zoppo, ma soprattutto con Ohri. Alla mattina mi porta in cantiere, alla sera mi da 50 grammi di coca da spacciare. Per convincermi ha una pistola. E un sacco di amici che mi vedono ovunque. Insomma, mi ha convinto.
Il problema è che adesso anche io ho una pistola. Me l’ha data Carlo.
E’ quasi mezzanotte, mi rimane meno di un’ora prima che la mia pausa desti sospetti. Quei cazzo di pali mi seguono come ombre.
E’ da settembre che pianifico questa serata, ho pensato a tutto.
Ho convinto Ohri a lasciarmi l’ora di pausa dalle 23 alle 24 ogni tanto, nei giorni più tranquilli. Il treno parte all’una. Non posso permettermi errori.
“Allora hai capito cosa devi fare?” Carlo è stato veramente un aiuto dal cielo!
“Sì… tolgo sicura, vado tre metri, punto al cuore e bum bum” ripeto la solita filastrocca che mi dice da una settimana.
“Meglio due metri Hansel… meglio due” dice
“Ma quello è ciccione, lo prendo anche tre metri”
“Fai come vuoi, non hai mai sparato… vai a due metri. Comunque io alla mezza parto, con o senza di voi”
Già… non ho mai sparato, non ho mai ucciso un uomo. Ho il sapore del sangue in bocca, e il cuore lo sento in gola ogni volta che penso a quello che dovrò fare. Riuscirò mai a premere quel grilletto? La soluzione è non pensare. Non pensare, Hansel!
Siamo arrivati. Vedo Gretel scendere ed entrare nel portone. Ha un passo incerto, ma si è girata verso di noi. Sono sicuro che ci ha visto.
Scendo dalla macchina anch’io e tocco la pistola attraverso la giacca di pelle.
Carlo abbassa il finestrino. Gli passo la droga.
“Tieni, con questo tre anni di vacanze gratis, per dire grazie.”
“Fanculo Hansel… datti da fare e torna qua sulle tue gambe” mi dice dandomi una pacca da dentro l’auto. Prende comunque la droga.
Mi metto rasente al muro e cammino verso lo zoppo. E’ lì che fuma le sue sigarette davanti al portone della casa; mi dà le spalle. Quel porco aspetta di riportare indietro mia sorella. Mentre mi avvicino faccio per tirare fuori la pistola e penso a tutti i movimenti che dovrò fare: sicura, tre metri, no due, cuore, BANG!
Sono a 5 metri, tolgo la sicura ma di colpo lo zoppo si gira.
“Hansel… che fai qui? devi essere ai portici! non puoi venire qui!” mi dice, buttando la sigaretta e mettendosi una mano in tasca. Non pensare non pensare non pensare… e invece penso! Mentre mi avvicino inizio a sorridere e a blaterare qualcosa su un problema ai portici; apro le braccia e rivedo un’immagine. Le colline brulle di casa mia con gli agnelli al pascolo. Lo zoppo sta sulle sue ma mi fa avvicinare. Lo riempio di parole e di scuse, e penso agli agnelli sotto il sole. Sì, c’è una cosa che ho già ucciso in vita mia, con le mie mani; le stesse mani che stanno girando con uno scatto secco, senza fatica, il collo dello zoppo. Gli agnelli, i buonissimi agnelli dell’Albania. Fanculo la pistola
“Vuoi qualcosa da bere, cara?” Rafel è in vestaglia, ha voglia di prendersela con calma. Mi parla in albanese. Io voglio solo tornare sul materasso della mia stanza.
“Sì, almeno così mi stordisco un altro po’ prima di dartela” gli rispondo, anche se so che con lui non attacca, anzi.
Si avvicina e mi infila una mano sotto la maglia, mi afferra un capezzolo e mi bacia.
“Dai, ho sete” mi divincolo.
“Oggi ho chiamato tuo padre… gli ho detto che domani ti avrebbe sentita, che sei molto impegnata, ha ha” mi dice mentre va in sala a prendere i drink.
Di colpo la casa rimane al buio. Sarà stato il temporale. I lampi improvvisi accendono l’argenteria presente nella stanza. Sento un bicchiere cadere e Rafel imprecare furioso.
“Goran” urla “Dove cazzo sei, cos’è successo? GORAAAN!”
Lo sento che apre cassetti e rovescia cose. Sono ancora immobile quando due braccia mi tirano indietro.
“Sono io, Gretel” E’ Hansel che mi sussurra all’orecchio. “Non dire niente e vieni con me”.
Hansel sembra vederci al buio come i gatti. Fuori c’è un gran fracasso di tuoni.
Apre piano la porta di ingresso “Scendi le scale ed esci in strada, sali sull’auto bianca che vedi parcheggiata a sinistra, svelta”.
“Ma Hansel… ”
“Fidati e fai come ti ho detto” mi zittisce spingendomi fuori.
Mentre scendo le scale, fra i rumori dei tuoni, sento Rafel che continua a bestemmiare. Non so cosa abbia in mente Hansel, sono troppo stordita per infilare due pensieri buoni, così penso soltanto a correre.
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Finalmente Rafel ha trovato una torcia. Il fascio di luce mi illumina il viso. Una volta capito chi sono mi passa la torcia sul resto del corpo.
“Dovevo sapere che eri uno che cerca guai…dovevo dire a Ohri di stare più in guardia con te.”
Io non dico niente e tolgo la sicura dalla pistola.
“Che hai intenzione di fare con quella, stronzetto? Non sai neanche come si usa”.
“Tu non preoccuparti… io e Gretel ce ne andiamo” gli rispondo.
“Ha ha, non farete più di tre chilometri in questa città senza essere trovati. Piuttosto, possiamo raggiungere un accordo se vuoi” nel dire queste parole sfodera un cannone anche lui. E io non so come si usa il mio!
Vede che ho paura, le sue labbra si distendono, lo capisco in mezzo alla luce dei lampi.
Fanculo la pistola, pensa all’agnello, Hansel.
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Il treno ha passato da poco Trieste, siamo a Koper. E’ quasi l’alba e non smette di piovere.
Io e Hansel siamo da soli nel vagone, accartocciati dentro le nostre giacche. Ha una ferita alla spalla ma dice che non è niente; ci stiamo assopendo, entrambi col pensiero che ormai ci siamo lasciati alle spalle l’Italia e tutta questa storia. Abbiamo gli occhi stanchi ma sereni. Il rumore delle rotaie mi ipnotizza mentre il paesaggio corre veloce; ai clandestini che escono da un paese straniero, nessuno chiede i documenti.
“Grazie Hansel, mi hai salvato la vita”.
“Dovevo pur ricambiare da quella volta, quando eravamo piccoli… con la strega, ricordi?” mi strizza un occhio.
Già, ha ragione, la finiremo un giorno di metterci nei guai?
Intanto casa è più vicina, papà, arriviamo. Mi addormento felice.
Il racconto che avete letto è opera di Jonfen ed è risultato il migliore tra quelli che hanno partecipato al laboratorio di scrittura di novembre 2013. Il tema da seguire era stato scelto da Guero (vincitore del precedente esercizio): Rielaborare una fiaba famosa.
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jonfen
Chi sonoScrittore in erba.