Comincia a far caldo, nel pomeriggio sorseggiavo al bar della coop un caffè freddo con una delle mamme del Comitato Genitori, mentre PdC era in piscina con gli amici a santificare l'ultimo giorno di scuola.Parlavamo del mandar in giro i figli da soli. Ciccio ha 11 anni ed era in piscina da solo con gli amici, una delle mamme degli amici mi manda uno sms "ma sai se ci sono genitori con loro?" ed alla risposta negativa "speriamo bene..". Non è facile lasciarli andare, ed io mi sono chiesta se dovevo preoccuparmi oltre il necessario, visto che prima dello sms non mi ero preoccupata. Ma siccome bisogna lasciarli andare, meglio attrezzarli. Ecco perché ho preteso che imparasse a nuotare, perché non si dovesse perdere una giornata come oggi per paura che succedesse qualcosa. Ma non volevo parlarvi di questo.La mamma del Comitato ed io parlavamo del lasciarli andare in giro da soli per un episodio di cronaca della scorsa settimana.Un gruppetto di adolescenti (compagni di squadra di basket dei suoi figli) sono stati aggrediti da una gang definita baby (ma erano 18_20enni) di ragazzi stranieri. Un'aggressione verbale e fisica, seguita da minacce e che ha mandato una delle vittime all'ospedale.Viviamo in provincia, una realtà tranquilla, all'apparenza.Ci chiedevamo, che si fa in questi casi? I nostri figli stanno progressivamente conquistando indipendenza, girano da soli, fanno cose da soli o con amici senza adulti al seguito. Si torna indietro? E come li si mette in guardia? Li si spaventa?
Son domande legittime. Fosse successo ai miei tempi i miei genitori mi avrebbero serenamente chiuso in casa. Confesso che ci son giorni, che mi piacerebbe tornare a quell'epoca di granitiche certezze, di tutto bianco o tutto nero, tutto sì o tutto no. E non perché penso fosse giusto, ma per sano egoismo, perché non è facile adesso in questa fase in cui i ragazzi chiedono molto ed ogni obiettivo raggiunto non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, per nuove conquiste.La prima volta che è andato in giro da solo con gli amici all'uscita da scuola ero in ansia, temevo che potesse accadere qualcosa (ricordiamoci che ora ha pur sempre 11 anni) che non fosse in grado di gestire situazioni. Ma ho tenuto duro. Ho sofferto da sola ed ho perseverato perché tutto ciò era stato preceduto da scambi di opinioni, indicazioni, tentativi piccoli per avvicinarsi al tentativo grande.Perché dicevamo, inutile raccomandare "attento che è pericoloso attraversare la strada" bisogna dire "guarda a destra e per ultimo a sinistra" così davanti ad una strada da attraversare, che succederà prima o poi, sai che fare.
L'episodio di cronaca apre molte domande, ma suggerisce anche delle risposte.I ragazzi vittime di violenza non hanno risposto alla provocazione ed hanno avvisato con il cellulare i genitori, che a loro volta hanno allertato i carabinieri ed hanno bloccato l'aggressione. Purtroppo uno di loro ha subito delle percosse pesanti, ma la parte peggiore è che sono stati minacciati esplicitamente e da quel giorno, spaventati, non vogliono tornare a scuola.Se ne parla, anche con i figli. Aver mantenuto la calma ed aver avuto fiducia nell'avvisare i genitori sono esempi da portare.
Un inciso che mi sta a cuore è quello sugli aggressori. Non giustifico, ma cerco di spiegare, anche a mio figlio. C'è chi cresce in realtà diverse. Chi a 12 anni mica ha ancora i genitori che gli allacciano le scarpe. Chi non ha paura e non di fare a botte, ma delle conseguenze delle proprie azioni, perché pensa di non aver più nulla da perdere. E' un dato di fatto, una differenza culturale e sicuramente sarebbe più facile pensare che dovrebbero tornare tutti da dove sono venuti, ma è poco realistico. Condanno, la violenza, sempre. E' la risposta sbagliata ad una domanda che non si è posta.Ma non possiamo negare che la violenza nasce dalla violenza e dal degrado, a volte anche solo dalla malvagità, certo, ma è una spiegazione semplicistica e poco produttiva.Non voglio che mio figlio abbia una paura insana e fine a sé stessa, voglio che acquisisca consapevolezza su mondi diversi dal proprio con cui deve convivere, piaccia o no.Che si fa per provare ad interrompere la spirale di violenza che genera violenza? Si fa la propria parte nella società. So che molti sorridono vedendo noi genitori del Comitato che ci sbattiamo a raccogliere fondi per le iniziative scolastiche, che cuciniamo e vendiamo torte di sabato e di domenica ed organizziamo feste per integrare genitori e ragazzi con il mondo scolastico. Sicuramente anch'io ho della roba che lascio indietro da stirare, quando di sera sforno torte e teglie di pizza aggratis, ma i soldi raccolti vendendo le nostre torte possono finanziare ad esempio corsi da estendere anche a chi è economicamente svantaggiato. Ed integrando chi, per mancanza di mezzi o per noncuranza delle famiglie, di solito non se lo può permettere, magari si può far assaporare il piacere di far parte della collettività e non di star sempre ai margini.Ma questo è solo un esempio.
E coi propri figli? Non ho ricette universali, ma solo la mia personale esperienza di figlia, prima e di madre, ora.
I ragazzi in gruppo si sa perdono un po' la testa, diventano sbruffoni ed a volte imprudenti. L'unione fa la forza, purtroppo a volte anche nel significato più deteriore.Per uno che trascina gli altri, ci sono gli altri che si lasciano trascinare. L'uno non esisterebbe senza gli altri.
Cerco di insegnare il rispetto. Non solo darlo, anche pretenderlo. Cerco di spiegare che si può tollerare anche la solitudine, piuttosto di un'amicizia che ci svilisce.Cerco di conoscere i suoi amici. La mamma che oggi ti scrive "ma sai se ci sono genitori con loro?" è la stessa che domani ti può segnalare un comportamento anomalo.Quella che ti può confermare se tuo figlio è davvero con gli amici oppure no.Accompagnare tutti alla partita ed ascoltarli parlare dietro in auto, aiuta a capire le varie personalità e chi magari tende a predominare. Invitarli a casa, a capire le dinamiche che si instaurano. Certo, anche a me piacerebbe dormire di domenica mattina, invece che seguirlo alle partite, ma mi rendo conto che capisco molto di più osservando, che parlando, a volte.
Abituarsi a raccontare ciò che si è fatto permette di capire, come stasera a cena, com'è andata la giornata, se ci son stati disagi, se c'è serenità ed equilibrio.Ovviamente bisognerebbe cominciare prima, a parlare, educarli ed abituarli quando son piccoli. Sopportare ed aggirare reticenze ed ombrosità.
Perché quando dicevano "figli piccoli, problemi piccoli" avevano ragione e ci son giorni che pagheresti per avere in cambio una notte insonne, come problema.
Questo post partecipa al Blogstorming di Genitoricrescono, il cui tema del mese è "Fare gruppo. Appartenere".