All’estremità dell’Universo esistono buchi neri con masse equivalenti a miliardi di volte il nostro Sole. Questi corpi giganti si nutrono di grandi quantità di gas interstellare, emettendo radiazioni in ogni frequenza, dai gamma, agli ultravioletti, passando per i raggi X e il visibile e sono noti, per la loro estrema “luminosità” come Quasar. Il gas inghiottito dal buco nero in accrescimento produce tale luminosità che, viaggiando per eoni in tutto l’Universo, raggiunge i nostri telescopi.
Tale luminosità si affievolisce esaurendosi il carburante, il gas che circonda il buco nero, e per questo questi lontani quasar ci appaiono nella loro “foto da bambino” in un giovane universo, di appena un miliardo di anni dopo il Big Bang. Bambini mostruosi in un giovane universo.
Normalmente si forma un buco nero quando una stella massiccia, di decine di masse solari, esplode e collassa su se stessa. Da quanto gli antichi quasar sono stati scoperti, gli scienziati si sono chiesti quale processo avrebbe potuto portare un “piccolo” buco nero ad “ingrassare” così tanto e così presto dopo il Big Bang.
Infatti numerosi processi tendono a limitare la velocità di crescita di un buco nero. Ad esempio, il gas normalmente non viene “ingurgitato” direttamente dal buco nero, ma “assaporato” goccia a goccia in un flusso a spirale. Quando il gas viene inghiottito dal buco nero, la luce che emette è spinta verso il gas, controbilanciando la gravità e rallentando il flusso che alimenta il buco nero.
Come hanno fatto a prodursi i Quasar? Oggetti talmente potenti che posti a qualche decina di anni luce potrebbero incenerire il nostro sistema solare? Tal Alexander, capo del Dipartimento di Fisica e Astrofisica delle particelle del Weizmann Institute of Science, propone una possibile risposta in un articolo scritto insieme a Priyamvada Natarajan della Yale University, recentemente apparso su Science.
Il loro modello si basa sulla formazione di un piccolo buco nero nel primo Universo. Si ritiene, da parte dei cosmologi, che in quell’epoca i flussi di gas fossero freddi, densi e contenenti molto più grandi quantità di materiale rispetto ai flussi di gas sottili che vediamo nel cosmo di oggi. Affamato il neonato buco nero si sarebbe mosso in ogni direzione attirando a se il gas direttamente così velocemente che il gas non ha potuto stabilizzarsi in un lento movimento a spirale.
Più grande era il buco nero e più velocemente mangiava, in modo esponenziale. Dopo circa 10 milioni di anni – un batter d’occhio nel tempo cosmico – il buco nero avrebbe raggiunto le dimensioni di circa 10.000 masse solari. Da allora, il suo tasso di crescita sarebbe rallentato, ma il destino era già segnato, quello di un buco nero supermassivo, di un miliardo di masse solari o più
Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf