Quel gol di Maurizio Turone… (by Bruce Wayne)

Creato il 24 gennaio 2013 da Simo785

Il nome di Maurizio Turone, molto probabilmente, sarebbe stato inghiottito dalle sabbie mobili del tempo. Difensore di normale caratura – nulla a che vedere non solo con un Franco Baresi, ma nemmeno con un Pietro Vierchowod –, esordì nel Genoa nel 1968 e terminò la sua carriera nella Cairese nel 1986, segnando complessivamente quattordici gol e non brillando mai per doti particolari. Il suo nome, tuttavia, è ancora oggi assai presente alla mente degli amanti dello sport, e lo è a causa di quello che, se fosse stato convalidato, sarebbe il quindicesimo gol della sua attività agonistica: quello segnato il 10 maggio 1981 al Delle Alpi, durante uno Juventus-Roma decisivo per le sorti dello scudetto. Turone stesso si è detto più volte seccato di ciò, ed è comprensibile: brillare solo per la luce di un gol che il guardalinee ha giudicato in fuorigioco e che l’arbitro, Paolo Bergamo, ha annullato, non è il massimo. Però la vita ed il calcio, talvolta, sono così. Ti concedono l’attimo di una gloria non tua, rendendoti protagonista di una parte che tu non vorresti.

Era la ventottesima giornata del campionato 1981-82, e la Roma si trovava ad un punto di distanza dalla Juventus (39 a 38). All’epoca la vittoria valeva due punti, e se i giallorossi avessero fatto centro si sarebbero portati in testa alla classifica sapendo di avere di fronte a sé ancora poche giornate da disputare. Ed al 75’ sembrò che, effettivamente, la possibilità di fare centro si materializzasse: una torre di Roberto Pruzzo consentì a Turone di colpire di testa e mandare il pallone alle spalle di Dino Zoff. Fu una gioia incontenibile per lui, per la squadra e per i tifosi. Ma fu anche molto breve, perché immediatamente si alzò la bandierina del guardalinee e l’arbitro, essendo molto arretrato rispetto all’area di rigore, non poté far altro che annullare la rete. Due giornate più tardi la Juventus diventava campione d’Italia con due punti di distacco sulla squadra capitolina, che si sarebbe presa la soddisfazione di strapparle lo scudetto solo due anni dopo.

Nei circa trent’anni successivi, quel 10 maggio è rimasto nella storia del nostro calcio come il materializzarsi di un’occasione perduta, ma anche – e forse soprattutto – come l’immagine di uno sport nel quale non sempre vince chi merita. Tuttavia va pur detto, a onor del vero, che se l’episodio del gol di Turone è rimasto giustamente una macchia grigia nei nostri ricordi, è anche innegabile che in quella partita emersero alcuni dei limiti di fondo della Roma allenata da Nils Liedholm. I bianconeri, infatti, scesero in campo privi di Tardelli e Bettega, ma ciononostante inquadrarono immediatamente nei nervi il punto debole dell’avversario e lì decisero di colpire fin dall’inizio. A pochi secondi dall’avvio della gara fu Furino ad intervenire duramente su Falcao, punto di riferimento per i romanisti, rompendogli il parastico e provocandogli uno squarcio alla gamba, e da allora in poi era stata la Juventus a mostrare un gioco decisamente più spregiudicato. La logica era chiara: togliere di mezzo il faro giallorosso così da imperversare sugli altri, che di certo non avevano i suoi stessi nervi saldi né la sua stessa personalità. Un limite, questo, al quale la “zona lenta” di Liedholm non poté porre rimedio, e che sarebbe risultato decisivo anni dopo, durante la finale di Coppa dei Campioni disputata all’Olimpico contro il Liverpool.


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