C’è un momento dell’anno in cui si comincia a sentire l’aria del Natale: le vetrine si accendono di luci e di fiocchi rossi, le pubblicità televisive si popolano di panettoni, il freddo mattutino quando mi avvio verso la scuola è un po’ più pungente e allora, oltre al cappello che di solito è di ordinanza dall’inizio di novembre, infilo i guanti prima di uscire di casa.
E’ u momento dell’anno che vorrei passasse in fretta perché faccio fatica a sopportare l’atmosfera da “siamo tutti più buoni”, perché non è vero che a Natale siamo tutti più buoni, in realtà a Natale siamo come siamo tutto il resto dell’anno: un po’ buoni, un po’ cattivi, un po’ altruisti, un po’ egoisti, capaci di slanci affettivi e di sorde chiusure.
A pensarci bene dovremmo sforzarci di vivere lo spirito del Natale ogni giorno della nostra vita, perché ogni giorno troviamo mani da stringere, lacrime da asciugare, sorrisi da donare, bisogni materiali a cui rispondere e bisogni dell’anima ai quali è sempre difficile rispondere: non possiamo relegare il nostro “farci prossimo” ai pochi giorni dell’anno illuminati dalla pallida luce di una cometa di cartapesta.
Quel bambino, poverissimo e straniero, che ci sorride da una poverissima mangiatoia non può essere solo una bella fiaba da raccontare ai bambini, o da raccontare a noi stessi per farci ritornare un po’ bambini: quel bambino ci interroga ogni giorno sulla nostra capacità di amare, quel bambino, che siamo credenti o no, ci insegna che l’amore è l’unica ragione di vita.