E dunque, che Sicilia, o cara (Felitrinelli) non sia un capolavoro (e che nemmeno pretenda di esserlo) è evidente. Che da Giuseppe Culicchia ci si possa aspettare di più, pure. Però con questo liberatevi della zavorra delle critiche e dei luoghi comuni. Semplicemente, tuffatevi in queste pagine, con la naturalezza dei gesti che vengono da lontano.
Allora la Sicilia esce dai depliant degli uffici del turismo, abbandona le cronache dei quotidiani, diventa grumo di affetti e memorie, legame che non ha bisogno di giustificazioni, diventa odori, colori, sciabolate di luce.
Culicchia la racconta attraverso il suo primo viaggio fatto da bambino: uno di quei viaggi che appartengono agli anni Sessanta e Settanta, il ritorno a casa per l'agosto, i bagagli stipati dentro l'utilitaria oppure caricati sulla vettura di seconda classe, il treno che dalle periferie operaie del Nord porta ai mari del Sud, la strada dell'emigrazione presa a contrario.
Il primo viaggio vero, fatto di tempo e sudore, di attesa e di saluti. Ma quanti viaggi prima, con i racconti del padre e le tante storie che si intrecciano intorno a una tavola, le parole come un tappeto volante che porta lontano, ma allo stesso tempo può riconsegnarci all'origine.
E prendetelo così, questo libro, non come un libro sulla Sicilia, ma un libro su un ragazzino che fantasticava sulla sua Sicilia e poi su un adulto che vuole tenersi stretto quel ragazzino.
Ps: Due anni fa sono stato anch'io a Marsala, città che prima per me era solo lo sbarco di Garibaldi e un ottimo vino. E Culicchia racconterà la sua Sicilia di adolescente, però grazie a lui sono ritornato a quei giorni, la pellicola di quel viaggio ha cominciato a girare...