La famiglia sarda si informa con Ibrahim di come è andata la giornata. Si conoscono, lui si ferma vicino ai loro molti ombrelloni da famiglia numerosa e cerca ristoro. Ombra e due parole. Ibrahim è carico di cappelli sulla testa, sulla schiena uno zaino di asciugamani e copriletto di quelli tutti uguali su tutte le spiagge. Tra le braccia due accrocchi carichi di bracciali e occhiali da sole. Le cose da spiaggia. Ibrahim è senegalese. Io gli chiedo: è un nome ebreo? Lui fa finta di non sentire o non sente (scopro poi che Abramo è un nome che unisce cristiani, ebrei e mussulmani). Gli dico come mi chiamo che di solito con quelli che si chiamano Mohammed fa sempre molta scena reciproca sembriamo sempre due simboli che si incontrano. Ci chiede se siamo sorelle. Gli dico: no lei è mia moglie (sintetizzo malgrado l’Italia). Ride, mi chiede: sei un maschio tu? No, rispondo io, ma lei è mia moglie lo stesso e lui non discute più. Venti metri quadri. Una famiglia del posto che non è partita per le vacanze che accoglie un senegalese mussulmano come un vicino di casa, due donne che stanno insieme. Un altro mondo è possibile, ovunque lo si voglia fondare.